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Loner Household Vol 2, Cap VI, Primavera, sessione 4


Tsukito 


Verso Tsukito, con la primavera alle spalle

Le fonti storiografiche ci informano che le nostre tre giovani donne rimasero a Koi più a lungo del previsto.

La gamba di Gwen, nonostante le cure e i rimedi shinigami, avrebbe avuto bisogno di attendere fino a dopo Beltaine per guarire davvero.

Così le tre viaggiatrici divennero ospiti fisse di Lady Sui, che si affezionò sinceramente a loro, dimostrandosi molto interessata alle storie, danze e canzoni della Casa, con cui le ragazze rallegravano la sua dimora recentemente riconquistata.

Fu lei, con infinita pazienza e una certa severità tranquilla, a insegnare alle ragazze le basi dello Shigo, la lingua del Canneto.

Non fu facile.

Molte parole erano sussurri, altre erano sibili, altre ancora richiedevano di pronunciare le vocali in un modo inconsueto.

Ma alla fine di due mesi lunghi e pieni di vento, riuscivano a:

presentarsi,

chiedere la direzione.

fare acquisti 

e — cosa fondamentale — scusarsi in molti modi diversi, abilità vitale nel Canneto.

Carlotta ne faceva canzoncine per ricordarle;

Nadèje ci costruiva piccole filastrocche;

Gwen prendeva appunti maniacali, creando un minuscolo dizionario personale che prometteva di ampliare “non appena avrò un po’ di tempo e la possibilità di non rischiare la vita ogni tre giorni”.


Il grande vento primaverile

A metà del mese di Maggio arrivò il vento grande, il Kaze-no-Utage come lo chiamano gli Shinigami:

un vento che scuote le canne, torce i tronchi, porta profumi dolci,  petali di fiori e polline che fa starnutire.

Non è una tempesta, eppure tutto si muove come se lo fosse, le api sbandano cercando di posarsi sui fiori e persino i bombi hanno difficoltà a volare dritti.

Le ragazze partirono proprio allora.

 Lady Sui le accompagnò fino alla curva del sentiero.

“Attente a dove la primavera vi spinge,” disse.

 “Il vento porta semi… e decisioni.”

Gwen camminava con la gamba ancora un po’ rigida, ma riusciva addirittura a ridere quando Carlotta la prendeva in giro.

Il viaggio durò quattro giorni prima di arrivare a Tsukito: la città delle tegole cadute

Tsukito si rivelò all’improvviso, sullo sfondo del tramonto, dopo una serie di curve strette lungo un canale e sotto una pioggia di petali bianchi.

Al centro della città, come un fulmine piantato nella terra, sorgeva la Pagoda di Terracotta: costruita con le tegole cadute dal tetto della Casa, riassemblare, sovrapposte e fuse con resine vegetali, in modo da sembrare quasi una colonna di scaglie rosse che sale verso un cielo color fiamma e cotone.

Tsukito era rumorosa, ma non come una metropoli: rumorosa di insetti, di acqua, di ponticelli che oscillano, di campanelle appese alle finestre. Invece non era affatto  rumorosa la presenza di colei che la governava: la Shogun Yokai Yorogumo. Non era grande, né imponente, anzi “minuscola”, secondo le parole di lady Sui,  “Ma appena la si vede” aveva continuato, “si capisce perché anche le rane smettono di gracchiare quando passa: occhi che sembrano leggere la mente e una voce così calma da risultare minacciosa”.

“Spietata”, aveva detto Sui.
“Ma giusta,” aveva aggiunto.
“E soprattutto… dotata di una mente più affilata di un lama.”

Le ragazze non sapevano se l’avrebbero incontrata — e se sarebbe stata contenta di vederle.

Lady Midori era stata chiara.

“A Tsukito cercate il Santuario del Candide Spire.

 Custodisce il secondo frammento della Tavoletta della Luna.

 L’ultimo… sarà più difficile.

Si trova nel Santuario del Glicine, nella Prefettura di Hanado, nel nord del Giardino. Nessuno ci va più da anni. Alcuni dicono che il Serpente della Luna lo protegga in persona.”

Un nome che ancora tremava nell’aria: Occhi di Pietra.

Per gli Sluagh, l'Idolo Apophis.

Per gli Shinigami, un portatore di vita e creatore del Canneto, che poi donò a Yokai Akuma, padre di Yorogumo e fondatore dello Shogunato della Luna D'Argento.

Per Gwen… la chiave per ritrovare ciò che teme perduto.


Ora, a Tsukito, le ragazze entrano nella città dominata dalla torreggiante pagoda di tegole rosse.

Le campanelle oscillano sopra le porte e il vento spira con un suono simile a un flauto.

Gwen stringe la borsa sul fianco.

Carlotta osserva tutto con occhi spalancati.

Nadèje sente, per la prima volta, una traccia lontana di paura e meraviglia insieme.

Tsukito è affascinante.

E pericolosa.

Nadèje si ritrova a pensare che somiglia a Lady Midori ancor più della stessa Koi.

E da qualche parte, tra le pagode e i rivoli d’acqua, c’è il Santuario del Candide Spire e c’è Lale.

Il Sole sparisce sotto l'orizzonte. E la Luna, ancora una volta, le guarda.

Arrivo a Tsukito e… guai immediati

Le ragazze chiedono indicazioni alle bancarelle di dolcetti e alle botteghe di zuppe che si trovano nei pressi della grande pagoda di terracotta. È una zona molto elegante, piena di villette con piccole pozze private e perfino minuscole risaie domestiche recintate: un quartiere ricco, curato, dove il profumo di riso al vapore si mescola a quello delle erbe aromatiche.

Gli abitanti del posto, gentili ma sbrigativi, le indirizzano verso un’altra area della città: una zona più popolare, con case fittissime l’una sull’altra, vicoli stretti e un brusio costante.

Appena giunte lì, però, attirano l’attenzione di una tresca di criminali — tatuatissimi con immagini colorate di fiori, pesci e insetti, e molto ben vestiti, con kimono di seta nera e sciarpe decorative — che in quella zona sembrano spadroneggiare. Qualcuno mormora perfino che siano in combutta con la Daimyo Yokai Yorogumo.

I criminali si avvicinano e, con fare minaccioso, estraggono dei pugnali di chitina lucida per rapinarle.

Nadèje, che ancora non ha dimenticato la rabbia provata quando Tadashi aveva minacciato Carlotta, reagisce d’istinto.

 È vero che ormai ha perso la sua sciarpa da duello, e che si deve riabituare a combattere solo con la lancetta…

 ma appena vede Carlotta messa in pericolo, scatta come una fiamma nel vento.

Riuscirà Nadèje a sconfiggere i criminali?

Tiro: dado Chance 6, dado Rischio 5 → Sì, e…

La Fata si muove con la grazia feroce di una tempesta improvvisa: mani che volano, nasi che saltano, armi che cadono.

 I criminali, colti completamente di sorpresa, finiscono in ginocchio, chiedendo pietà e cercando perfino di riattaccarsi i pezzi caduti — cosa possibile, per uno Shinigami, se le ferite non sono troppo profonde.

Nadèje è furibonda, una furia luminosa, quasi irriconoscibile rispetto alla creatura affettuosa e lieve che è con Carlotta.

L’aver visto la sua amata minacciata le ha risvegliato un istinto protettivo che brucia come ferro incandescente.

Impauriti e tremanti, i criminali cedono subito: indicano alle ragazze la strada per la casa di Lale e, con voce ancora più bassa, rispondono anche alla domanda più rischiosa:

«Il Santuario delle Candide Spire… sì, sì, si entra da una piccola pagoda… c’è una porta  segreta da qualche parte che conduce a un passaggio sotterraneo… ma… attenzione… ci sono trappole, signore… molte trappole…»

Nadèje li fissa con aria gelida, poi scansa uno di loro che tenta di baciarle i piedi per gratitudine o paura.

«Per questa volta potete andare.»

I criminali fuggono zoppicando e tenendosi insieme alla meglio.

Le tre ragazze si scambiano un’occhiata — un misto di sollievo e di adrenalina — e poi si incamminano verso la casa di Lale, il cui nome finalmente risuona più vicino che mai.

La casa di Lale

Alla fine del vicolo, dove le canne si intrecciano con le travi e l’aria odora di gramigna tostata e alghe fatte seccare al sole, le ragazze trovano una minuscola casetta in legno di giunco e carta di corteccia.

È semplice, ma molto curata: piccoli amuleti appesi alla veranda, un ventaglio rotto a decorare la porta, e un grande vaso di terracotta pieno di muffe floreali bianche che oscillano alla brezza.

Nadèje alza una mano per bussare, ma non fa in tempo.

La porta scorrevole si apre di lato con un fruscio.

Una Shinigami piccola e rotondetta, dalla carnagione verdastra, avvolta in un kimono dai colori spenti ma eleganti, le guarda con occhi grandi e un po’ tristi.

Baba 


Difficile attribuirle un’età: forse poco più di sessanta Primavere, forse cento

> «Posso aiutarvi?» chiede con voce calma.

Le ragazze spiegano, in uno Shigo un po’ maldestro ma comprensibile, il motivo della loro visita: il viaggio, la ricerca del santuario, la speranza di incontrare Lale.

La Shinigami tace per un momento, poi annuisce lentamente.


> «Entrate. C’è vento oggi. E il vento porta via le parole.»


Dentro la casa c’è un profumo di brodo caldo e carta bagnata dal tempo.

Le fa sedere su cuscini di riso intrecciato, poi versa a ciascuna una minuscola tazza di saké di germogli, chiarissimo e profumato.


> «Mi chiamo Baba,» dice infine.

> «E… prima che chiediate ancora… sì. Lale abitava qui.»

Si ferma. La ciotolina che ha in mano tremola appena.


> «Era… la mia compagna di vita. Mia moglie, se volete dirlo così.»


Carlotta abbassa gli occhi, rispettosa.

Gwen si blocca a metà gesto, come se temesse di disturbare il silenzio.

Nadèje sente il cuore stringersi, un filo di empatia immediata.


Baba inspira piano.


> «Ma… Lale non c’è più. È mancata due anni fa.»


La stanza sembra farsi più piccola, come se il silenzio avesse un peso.

Baba appoggia il bicchiere, con una delicatezza che sembra un rito.


> «Capisco che la cercavate Che forse speravate in qualcosa.

> Poi fa un sorriso triste, ma sincero «Ma non vi allontanerò. Se siete giunte fin qui… è perché dovete ancora scoprire qualcosa. E forse… Lale avrebbe voluto che io vi ascoltassi.»

Fuori, il vento scuote le campanelle.

Dentro, tre ragazze restano immobili, come se quel momento sospeso fosse un crocevia tra ciò che credevano di cercare… e ciò che davvero troveranno.


Gli appunti di Lale

Baba ascolta in silenzio, mentre le ragazze spiegano — con delicatezza — di essere alla ricerca non solo del Santuario delle Candide Spire, ma anche di tracce delle antiche usanze matrimoniali dei primi Sluagh.

Le dita della Shinigami tremano appena, non per paura, ma per un ricordo improvviso.

Poi si alza con un gesto lento e apre una porta scorrevole sul retro della stanza.

Dietro c’è un piccolo deposito pieno di luce lattiginosa.

E — più impressionante di tutto — una montagna di pergamene, quaderni, mappe, diari, fogli cuciti insieme, rotoli di corteccia e appunti infilati in scatole di bambù, ammassati con un ordine solo apparente, il caos dei veri studiosi.

«Questi…» dice Baba chinandosi con rispetto,

 «sono gli studi di Lale. Ha dedicato anni a ricostruire i costumi dei primi Sluagh, soprattutto delle tribù devote a Bennu la Falena di Fuoco e delle comunità nomadi.»

Nadèje e Gwen spalancano gli occhi.

 Carlotta si avvicina piano, come se avesse paura di disturbare il riposo dei fogli.

Baba estrae un quaderno legato con un nastro blu, lo appoggia sul tavolo e lo apre alla pagina consumata dall’uso.

Ci sono disegni. Annotazioni fitte.

 E — con sorprendente semplicità — testimonianze di unioni matrimoniali tra due donne o due uomini.

Riti diversi, talvolta:

Tra gli Sluagh nomadi, alla coppia veniva affidato un giovane animale sacro da crescere insieme come simbolo di unione.

In altre, specie tra le fedeli di Bennu e di Sepa la Scolopendra, le due spose intrecciavano le loro sciarpe, che venivano poi benedette dai capitribù 

Tra i fedeli di Sepa, per i compagni maschi, il rito prevedeva la raccolta di due muffe o funghi di specie diverse da legare insieme sotto la stessa pietra.


Carlotta posa una mano sulla bocca, commossa.

 Nadèje sente un calore improvviso salire nel petto.

 Gwen prende appunti febbrilmente; è un tesoro inestimabile dal punto di vista antropologico.

Baba chiude il quaderno con una carezza.

«Lale credeva che le storie delle prime tribù potessero insegnare qualcosa anche a noi, oggi. Varietà, libertà… e soprattutto che l’amore è sempre stato parte della vita e della storia, in molte forme.»

Poi guarda Nadèje e Carlotta, e il suo sguardo è così dolce da sembrare quasi una benedizione.

«Lei sarebbe contenta di sapere che qualcuno continua il suo lavoro.»

Fuori il vento si posa, e per un istante pare quasi che l’aria trattenga il respiro.

 Come se Lale, da qualche parte, ascoltasse.

Quando Baba richiuse con delicatezza il quaderno dalle pagine consumate, la stanza sembrò trattenere un sospiro.

Le tre viaggiatrici restavano in silenzio, come se ogni parola potesse spezzare un filo sottile che veniva da molto lontano.

La Shinigami si alzò, raccolse altri due rotoli da una cesta di bambù e li dispose davanti alle ragazze.

«Questi appartenevano a Lale.
Non posso darvi tutto… sarebbe come strapparmi un braccio.
Ma alcuni appunti… sì. Credo che li avrebbe voluti nelle mani di chi continua la sua ricerca.»

Li spinse verso di loro.

Erano annotazioni preziosissime:

  • liste di antichi clan Sluagh ormai scomparsi;

  • diagrammi di riti matrimoniali dimenticati;

  • mappe incomplete dei territori perduti;

  • testimonianze raccolte oralmente da viaggiatori e anziane matriarche.

Gwen li prese con una cura quasi devota;
Carlotta sussurrò un «grazie» in Shigo;
Nadèje non parlò, ma Baba parve capire tutto dal modo in cui stringeva i fogli al petto.


Lale e il Santuario

Baba sospirò e andò a prendere una piccola scatola di legno, decorata con spirali dipinte a inchiostro.

«C’è qualcosa che non molte persone sanno.
Lale… non studiava soltanto gli antichi Sluagh.
Era ossessionata dal santuario delle Candide Spire.

Aprì la scatola: dentro c’era un minuscolo amuleto di terracotta bianca.

«Diceva che nel Santuario si custodiva un segreto legato alla Luna.
E a… Occhi di Pietra

Baba si alzò in piedi.

«Se davvero volete trovare il Santuario… è giusto che qualcuno vi mostri il cammino.»

Si avvolse in un mantello di fibre d’erba e prese una lanterna fatta di chitina levigata.

«Venite con me. Vi posso accompagnarvi fino alla soglia.»

Le guidò attraverso i vicoli stretti, tra canali silenziosi e ponticelli oscillanti.
L’aria odorava di muschio, acqua fredda e fiori di basilico.

Dopo qualche minuto arrivarono davanti a una minuscola pagodina di terracotta bianca, larga quanto una pera grande e alta come un fungo.

Sarebbe sembrata decorativa, se non fosse per il simbolo inciso sulla porta:
una spirale semplice, perfetta, come un occhio che guarda.

«Dietro questa porta…»
disse Baba toccando la spirale con l’amuleto bianco, «c’è il passaggio. Una scala che scende, poi sicuramente delle trappole.
E molta, molta oscurità.»

Il pannello scorrevole si aprì con un click quasi impercettibile, rivelando un corridoio inclinato verso il buio.

Baba si voltò verso di loro, le mani giunte.

«Il Candide Spire vi aspetta.
Ricordate la cosa più importante che Lale mi ha lasciato in eredità:
Siate sempre cercatrici di verità.»

Poi fece un passo indietro.
La sua lanterna tremolò.
Il vento tacque.

E le tre ragazze, stringendo gli appunti, la lanterna, e il coraggio, entrarono nel passaggio sotterraneo"



Le tre ragazze scesero per la scaletta nascosta

sotto la piccola pagoda bianca,



che Lale aveva indicato loro. Il passaggio si avvolgeva in una lenta spirale, come il giro di un guscio, e il pavimento era composto da piastrelle strane:

alcune fatte di ciò che sembravano ossa di pesce, altre di piccole pietre bianche disposte a imitare la pelle squamosa di un enorme serpente.


Il tunnel smise infine di scendere e si aprì in un’arcata che conduceva verso un ambiente ancora più oscuro. Nemmeno la flebile luce della muffa brillantina sul soffitto riusciva più ad aiutarle a vedere bene dove poggiavano i piedi.


Prima di inoltrarsi, avevo tirato sulla tabella dei pericoli del Santuario delle Candide Spire scoprendo che lì si celava una trappola.


Tuttavia, i criminali che avevano affrontato poco prima le avevano già avvisate che, laggiù, c’erano trappole. Per questo motivo, le ragazze agirono con circospezio

**Riescono a notare la trappola e a evitarla?**

**Tiro — Dadi Chance 6 e 4, Dado Rischio 4 → SÌ, ci riescono.**


Nadèje sussurrò:

«Stiamo attente. Quell’ingresso… non mi piace per niente.»


Effettivamente, ai lati dell’arcata notarono minuscoli forellini. Carlotta accese la lanterna per vedere meglio; Gwen, invece, posò il suo taccuino ancora vuoto proprio davanti alla soglia.


Appena il taccuino toccò il suolo, dai due lati del passaggio schizzarono fuori una raffica di **dardi avvelenati**, che si conficcarono nel legno e nella carta senza per fortuna sfiorare nessuna di loro.


Gwen li esaminò con un sopracciglio alzato.

«Sono intinti nel veleno di vipera!» commentò, con una certa ammirazione scientifica.


Superata la trappola, le tre si inoltrarono oltre l’arco. Il nuovo corridoio era più largo, ancora decorato dal sentiero centrale di finte squame bianche, e ai lati si susseguivano pilastri di pietra che sembravano più vecchi perfino del Giardino stesso.


Alla fine del passaggio giunsero in una sala più profonda, quasi una spelonca. Dal centro si innalzava un pilastro di pietra candida, scolpito a imitare un serpente che si avvolgeva su se stesso per reggere il soffitto. L’aria lì dentro era immobile; il silenzio pesante come una coltre.


E in quel silenzio, tutte e tre sentirono chiaramente che **qualcosa le stava aspettando**.


All’improvviso, un suono lieve — quasi un fruscio di stoffa — attraversò la sala.


Dalle sei nicchie poste nelle pareti, fino a quel momento nascoste da spesse tende color avorio, emersero lentamente delle figure omine. Ognuna teneva in mano una piccola lanterna di vetro lattiginoso, che fino a un momento prima doveva essere stata completamente celata.


Indossavano abiti bianchi: tuniche ampie, pantaloni larghi stretti alla caviglia, maniche che fluttuavano come seta nell'acqua. Il volto era coperto da veli candidi che scendevano fino al petto, così spessi da rendere impossibile capire se sotto ci fossero occhi, pelle, o solo ombra.


Le sei figure si disposero in cerchio, come petali attorno al pilastro-serpente.


Una di loro parlò con voce ovattata, distorta dalla stoffa:

**«Forestiere… cosa cercate nel Santuario delle Candide Spire?»**


Nadèje fece un passo avanti, la lanterna di Carlotta alle spalle che gettava un chiarore dorato sul pavimento squamoso.


«Cerchiamo il secondo pezzo della Tavoletta della Luna,» dichiarò, senza voler sembrare né arrogante né supplichevole.


Un mormorio attraversò le sei figure, un movimento lievissimo delle lanterne. Poi la stessa voce — o forse un’altra simile — rispose:


**«Per ottenerlo… dovete provare il vostro valore.»**


Le sei entità si inchinarono tutte nello stesso istante. Quando si raddrizzarono, i loro corpi erano cambiati: la postura più ferma, le lanterne sollevate come fossero armi, i veli tesi contro il volto come se un vento invisibile soffiasse da sotto.


Si misero in guardia.

Un gesto lento, silenzioso, coreografato alla perfezione.



Gwen deglutì, più agitata che spaventata: «Oh, meraviglia accademica…»


Nadèje strinse la lancetta, le ali che vibravano di ansia e determinazione.

«Va bene,» disse. «Mostrateci cosa dobbiamo affrontare.»


Le sei lanterne lattiginose si accesero tutte insieme. La sala fu inondata da una luce pallida, serpentina.


E il *prova di valore* ebbe inizio.

Le sei figure velate non persero tempo.


Con un movimento rapidissimo, quasi danzato, ognuna estrasse dalla manica un piccolo globo lattiginoso e lo scagliò verso le tre ragazze. I globi esplosero in lampi accecanti che riempirono la sala di luce tremula.


«Attenti agli occhi!» gridò Gwen, coprendosi il volto con la bisaccia.


Subito dopo, le figure bianche lanciarono delle **fiale di muffa-ragnatela**, che esplodendo sul pavimento si allargarono in filamenti appiccicosi, pronti a immobilizzare chiunque ci mettesse piede.


Era evidente:

**non volevano ucciderle, ma solo metterle fuori combattimento.**


E anche le ragazze decisero di rispondere con la stessa misura.


* **Nadèje** mantenne la lancetta nel fodero, affidandosi alle sue ali e alle sue spirali evasive per evitare i colpi.

* **Carlotta**, afferrato il supporto di una lampada caduta, lo brandì come un’arma improvvisata.

* **Gwen**, picchiava sorprendentemente sodo con la sua bisaccia rinforzata.


Le figure bianche si muovevano con grazia innaturale, come se i loro corpi non avessero peso.

La battaglia fu una danza di veli, lampi e colpi rapidi.


Per un attimo sembrò che le fiale di muffa-ragnatela potessero intrappolarle davvero…

ma Nadèje sfoderò la lama all’ultimo istante, giusto per il tempo di tranciare i filamenti appicosi.


Carlotta, accecata dal lampo, girò su sé stessa brandendo il supporto della lampada e colpì in pieno uno dei monaci, facendogli cadere la lanterna.


Gwen, con l’energia disperata dei Boggart, caricò un altro monaco con tutta la sua forza, gridando:

«Questa è per le biblioteche mal ventilate, sai?!»


La lanterna del monaco volò via, rotolando sul pavimento squamoso.


E il tiro lo conferma:


### **Tiro: Dado Chance 6, Dado Rischio 2 → SÌ, CI RIESCONO!**


Le tre ragazze **schivano le trappole**, resistono ai lampi accecanti, neutralizzano i fili appiccicosi, e alla fine riescono a **mettere al tappeto — senza ferire nessuno — i sei monaci velati**.


Le figure bianche, una dopo l’altra, si inginocchiano, posano le lanterne a terra e abbassano il capo.


La voce ovattata ritorna, questa volta meno minacciosa:


**«La prova è superata.Siete degne di proseguire.»**


La pietra serpentina sotto i loro piedi vibra, e un passaggio segreto si apre dietro al pilastro principale.


La via verso **il secondo pezzo della Tavoletta della Luna** è finalmente davanti a loro.


Quando l’ultimo monaco si inginocchiò e la sala tornò silenziosa, si udì un rumore profondo, come il respiro di un serpente gigantesco che dorme da secoli.


Il pilastro bianco al centro della caverna — quello scolpito a forma di serpente avvolto in spire — vibrò leggermente.

Poi, dal punto più alto del capitello, un battito secco: *Toc.*


Una minuscola fessura si aprì, e un astuccio di pietra candida scivolò giù lungo le spire del serpente, fermandosi ai piedi di Nadèje.


I monaci velati parlarono all’unisono, con voce bassa e metallica:


**«Accogliete ciò che avete guadagnato.»**


Nadèje si chinò, aprì l’astuccio — e dentro brillò il **secondo frammento della Tavoletta della Luna**, una scaglia di pietra biancastra, iridescente come la pelle di un serpente mitico.


Le incisioni erano antiche, più antiche di quanto Gwen potesse immaginare; un alfabeto precedente alla-Casa, forse.

Carlotta trattenne il fiato.

Gwen sussurrò: «È… bellissimo.»


I monaci ripresero posizione ai lati del pilastro, sollevando le loro lanterne bianche.


**«Il frammento ultimo,»** disse uno di loro, **«riposa lontano da qui.»**


Le ragazze si voltarono.


**«A Hanado,»** continuò un altro, **«nel Santurio del Glicine. Un luogo antico, dove il vento canta le memorie degli avi.»**


Un terzo monaco aggiunse:


**«Ma fate attenzione al Daimyo Oni Raidon.»**

Un velo si mosse, rivelando un occhio color ruggine.

**«È crudele. È micidiale.

E soprattutto… ama i regali rari.»**


Gwen deglutì.

Carlotta prese la mano di Nadèje.

Nadèje serrò l’astuccio con il frammento, sentendone il peso — non tanto fisico, quanto di destino.


Il monaco centrale concluse:


**«Solo chi sa dare può ricevere.

Ricordatevelo, figlie della Casa.»**


Poi, come creature fatte d’ar


E il sentiero verso il Nord del Giardino — verso Hanado, verso Oni Raidon, verso il Santuario del Glicine — cominciava proprio lì, nella quiete gelida del santuario sotterraneo.

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