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Loner Household Vol 2 Cap VII - Estate, sessione 12





Inizio Estate, 105 S.P.
Pista per Lone Rock 

Il sentiero per Lone Rock corre tra boschetti di trifoglio e prati già punteggiati di fiori estivi. Il cielo è terso, il sole comincia a scaldare sul serio, ma l’aria resta ancora piacevole, quasi gentile sulla pelle. Dopo la fuga dalla Fontana, il tempo buono sembra un piccolo dono.

Le ragazze entrano in paese con passo svelto.

A Lone Rock però non c’è molto da scegliere. La cittadina è ruvida, pratica, fatta più per chi guida bestiame che per viaggiatrici in fuga. Le bancarelle espongono soprattutto abiti usati, rattoppati, scoloriti dal sole e dalla polvere.

Cercano qualcosa di almeno guardabile.

Tiro con Svantaggio
Dado Chance 2, Dadi Rischio 2 e 5
No.

Niente da fare.

Gli abiti che trovano sono tutti più o meno uguali: pantaloni robusti, gilet larghi, camicie rigide, cappelli consumati. Una volta indossati, si guardano a vicenda… e scoppiano quasi a ridere.

«Sembriamo mandriane Barghest di una brutta ballata popolare,» commenta Gwen, sistemando il cappello storto.

Nadèje ridacchia, incrociando le braccia. «Manca solo il bastone e il broncio.»

Carlotta invece ci resta un po’ male. Si osserva in silenzio, tira la stoffa ruvida della giacca. Non è solo una questione di moda: è stanchezza, è tutto quello che hanno dovuto lasciare indietro.

Alla fine però non c’è tempo per esitare.

Comprano quello che trovano. Abiti fuori moda, grezzi, ma solidi. Pratici.
Prendono anche borracce di riserva, le riempiono d’acqua fresca alla fontana del paese.

Non si fermano a lungo.

L’ombra dell’ammiraglio Chevalier pesa ancora sulle loro spalle, e nessuna ha voglia di scoprirne la portata fino in fondo.

Con vestiti improbabili, borracce piene e pochi bagagli rimasti, riprendono la pista.

Direzione: Finistrada.


Finistrada

La città li accoglie con il solito brusio: ruote sui ciottoli, richiami dei mercanti, l’odore di pane caldo e di acqua stagnante nei canali bassi. Per un istante sembra quasi tutto normale.

Ma dura poco.

Tiro imprevisti
Dado Chance 2, Dado Rischio 6
NO. L’imprevisto c’è.

In un vicolo laterale, stretto e in ombra, vedono la scena.

Una Soladina minuta, elegante nella sua semplicità, è con le spalle al muro. Davanti a lei tre figure le sbarrano la strada:
un Boggart largo di spalle,
un Genomino con il ghigno storto,
e uno Sluagh alto e ossuto, che le parla troppo da vicino.

Non la stanno ancora toccando, ma l’aria è quella sbagliata. Pesante. Predatoria.

Le ragazze non esitano nemmeno un secondo.

«Lasciatela stare, vergognatevi!»
La voce di Gwen taglia l’aria come uno schiaffo.

Si fa avanti di un passo, il topo Timothy che le spunta dalla spalla come se avvertisse la tensione.

«Proprio tu,» aggiunge, fissando il Boggart, «dovresti sapere cos’è il rispetto. Dove sono finiti i gentlemen del Focolare? Si vergogni.»

Il Boggart si irrigidisce, colpito più dall’accusa che dal tono.

Accanto a lei, Nadèje non dice molto.
Stringe l’impugnatura della lancetta, il metallo che fa un lieve suono secco.

«Vi consiglio di lasciarla andare,» dice piano.
È una minaccia detta con educazione, e per questo ancora più chiara.

Carlotta resta un passo indietro, osserva. Valuta le distanze. Le mani pronte, l’ombrello leggermente inclinato.

La Soladina le guarda, sorpresa… e con un lampo di speranza negli occhi.

I tre omini si voltano lentamente verso di loro.
Il vicolo sembra restringersi ancora di più.

Per un istante, tutto è fermo.

Il Boggart sbuffa rumorosamente, facendo un passo avanti.
«Questa qui ci deve dieci Crì. Dieci. E non è finita: ci ha pure imbrogliati a carte.»

Il Genomino annuisce con un sorriso storto.
«Mani troppo veloci per essere oneste.»

Nadèje non distoglie lo sguardo. Si gira appena verso la Soladina.
«Madame… è vero?»

La donna si sistema con calma gli occhiali sottili, il gesto elegante nonostante il vicolo e la situazione.
«Non ho barato,» dice con voce ferma. «È stato un… malinteso. E, per la precisione, devo loro solo sette Crì

Sette. Dieci. Malinteso. Carte.

Nadèje inspira lentamente. Il vicolo sembra trattenere il respiro con lei.
Troppi sguardi, troppe mani pronte, troppe vie di fuga bloccate.

Fa un mezzo passo avanti, palmi aperti.
«Aspettate. È possibile mettervi d’accordo senza che nessuno si faccia male.»

Tiro con vantaggio
Dadi Chance 2 e 4, Dado Rischio 6
No.

La parola accordo sembra essere la scintilla.

«Basta!» ringhia lo Sluagh.
Il Boggart fa schioccare le nocche — tirapugni di metallo spuntano tra le dita.
Il Genomino estrae una punta di chiodo, sottile e cattiva, nascosta nella manica.

«Ci prendiamo i soldi subito,» dice il Boggart, «con gli interessi.»

La Soladina impallidisce appena, ma non arretra.

Gwen stringe la mascella. Timothy s’irrigidisce sulla sua spalla.
Carlotta apre lentamente l’ombrello, quel tanto che basta per far capire che non è un accessorio.
E Nadèje… lascia cadere i palmi aperti.

La lancetta scivola nella sua mano con un suono secco.

La mediazione è finita.

Ora il vicolo è una miccia accesa —
e basta un passo di troppo perché tutto esploda.

«Iniziano le danze.»

Nadèje non lo dice ad alta voce, ma è quello che succede.

Tiro con vantaggio (scherma di Nadèje)
Dadi Chance 3 e 4, Dado Rischio 5
NO.

Il vicolo è troppo stretto.

La lancetta, lunga e raffinata, non è fatta per combattere in mezzo a muri umidi e casse rovesciate. Nadèje prova a manovrare di punta, cercando solo di disarmare, di tenere a distanza — non vuole ferire seriamente nessuno — ma ogni affondo è ostacolato.

Il Genomino si becca comunque una piattonata secca sul ginocchio e strilla, crollando su una gamba.
Ma non basta.

Carlotta non trova spazio per colpire senza rischiare di fare male a Nadèje.
Gwen cerca di intervenire, ma il caos è troppo serrato, troppo vicino.

Il Boggart avanza e, con una mano enorme, afferra il polso di Nadèje.

La presa è ferrea. La lancetta resta bloccata.

Alza il pugno.

Per un istante sembra davvero che stia per colpirla — un pugno che potrebbe spezzare le ossa.

Poi… esita.

Gli occhi del Boggart incontrano quelli di Nadèje.
Non c’è odio lì dentro. C’è rabbia, sì. Frustrazione. Ma anche un dubbio improvviso, come se pure lui si rendesse conto che tutto questo è andato troppo oltre.

Ed è proprio in quell’attimo sospeso che—

«EHI! FERMI TUTTI!»

Voci. Passi. Gente che accorre.

È la ronda informale dei cittadini di Finistrada: uomini e donne armati di bastoni, corde, torce improvvisate. Non soldati, ma abbastanza numerosi e determinati da far capire che la festa è finita.

In pochi secondi il vicolo viene riempito.

Qualcuno strappa via il Boggart da Nadèje.
Il Genomino viene immobilizzato mentre protesta.
Lo Sluagh smette di ringhiare quando si ritrova con una corda al collo.

«Tutti dentro. Subito.»

Non c’è processo. Non lì.

Li arrestano tutti.

Pochi minuti dopo, le porte di legno rinforzato si chiudono con un tonfo secco.

Due celle separate:
– una per le donne (e il topo)
– una per gli uomini

Timothy viene sistemato con Gwen, offeso e vibrante come se avesse fatto la sua parte.

Il silenzio cala lentamente.

Nadèje si massaggia il polso, ancora caldo della presa.
Carlotta sospira, sedendosi.
Gwen guarda le sbarre, poi le compagne.

Finistrada, a quanto pare, ha deciso di prendersi una pausa
prima di decidere da che parte stare.


La Soladina si volta verso di loro con un sorriso stanco ma sincero.
«Grazie. Davvero.»

Si aggiusta di nuovo gli occhiali, poi fa un piccolo inchino teatrale, quasi ironico.
«Elise O’Leary. Prestigiatrice… e alchimista, quando le cose vanno bene.»

Fa una pausa, come se stesse decidendo quanto dire.
«Un tempo ero socia in affari del dottor Billiko. Poi abbiamo… smesso di collaborare. Dissidi sulla divisione degli introiti.»

Il modo in cui pronuncia dissidi lascia intendere che non sia stata una separazione amichevole.

Elise si guarda intorno, poi posa lo sguardo sui loro abiti: grezzi, fuori moda, segnati dal viaggio.
Un mezzo sorriso le increspa le labbra.

«Siete tutte giovani donne attraenti,» commenta con leggerezza, «ma direi che state passando un momento un po’ complicato… a giudicare dal guardaroba.»

Gwen ride, una risata vera, liberatoria.
Carlotta accenna appena un sorriso.
Nadèje resta più rigida: non offesa, ma attenta.

Elise si china verso Timothy, allunga lentamente una mano.
«E tu chi sei, piccolino?»

Il topo squittisce felice, le sale quasi sul polso. Elise gli fa le coccole con naturalezza, come se avesse sempre avuto a che fare con creature piccole e nervose.

Gwen osserva la scena, e qualcosa nel suo sguardo cambia.
C’è curiosità. Interesse. Forse anche un filo di calore che non provava da un po’.

Nadèje lo nota.
Carlotta pure.

Nessuna delle due dice niente — ma entrambe non si fidano ancora.

Ed è in quel momento che si sente un passo deciso nel corridoio.

«Allora. Vediamo chi abbiamo qui.»

Una donna entra nel piccolo spazio davanti alle celle. È alta, robusta, con l’aria di chi non ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. Al suo fianco, posata con calma assoluta, c’è una coccinella grande come un pugno, lucida, vigile.

«Sono Fiona McInnis,» dice. «Sceriffa di Finistrada. Eletta dal popolo.»

Lo sguardo le scorre addosso, rapido ma attento. Si sofferma su Nadèje un istante di più, poi su Gwen, su Carlotta… e infine su Elise.

La coccinella muove appena le ali.

Fiona incrocia le braccia.
«Qualcuno vuole spiegarmi perché il mio pomeriggio è stato interrotto da una rissa in un vicolo?»

La situazione è di nuovo in equilibrio…
ma questa volta, qualcuno tiene davvero le redini.

La Soladina si volta verso di loro con un sorriso stanco ma sincero.
«Grazie. Davvero.»

Si aggiusta di nuovo gli occhiali, poi fa un piccolo inchino teatrale, quasi ironico.
«Elise O’Leary. Prestigiatrice… e alchimista, quando le cose vanno bene.»

Fa una pausa, come se stesse decidendo quanto dire.
«Un tempo ero socia in affari del dottor Billiko. Poi abbiamo… smesso di collaborare. Dissidi sulla divisione degli introiti.»

Il modo in cui pronuncia dissidi lascia intendere che non sia stata una separazione amichevole.

Elise si guarda intorno, poi posa lo sguardo sui loro abiti: grezzi, fuori moda, segnati dal viaggio.
Un mezzo sorriso le increspa le labbra.

«Siete tutte giovani donne attraenti,» commenta con leggerezza, «ma direi che state passando un momento un po’ complicato… a giudicare dal guardaroba.»

Gwen ride, una risata vera, liberatoria.
Carlotta accenna appena un sorriso.
Nadèje resta più rigida: non offesa, ma attenta.

Elise si china verso Timothy, allunga lentamente una mano.
«E tu chi sei, piccolino?»

Il topo squittisce felice, le sale quasi sul polso. Elise gli fa le coccole con naturalezza, come se avesse sempre avuto a che fare con creature piccole e nervose.

Gwen osserva la scena, e qualcosa nel suo sguardo cambia.
C’è curiosità. Interesse. Forse anche un filo di calore che non provava da un po’.

Nadèje lo nota.
Carlotta pure.

Nessuna delle due dice niente — ma entrambe non si fidano ancora.

Ed è in quel momento che si sente un passo deciso nel corridoio.

«Allora. Vediamo chi abbiamo qui.»

Una donna Barghest entra nel piccolo spazio davanti alle celle. È alta, robusta, con l’aria di chi non ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. I lineamenti regolari, i capelli biondo argentei intrecciati e i grandi occhi azzurro ghiaccio la rendono decisamente attraente (tante belle donne a Finistrada!). Al suo fianco, posata con calma assoluta, c’è una coccinella punteggiata, lucida, vigile.

«Sono Fiona McInnis,» dice. «Sceriffa di Finistrada, eletta dal popolo.»

Il suo sguardo scorre loro addosso, rapido ma attento. Si sofferma su Nadèje un istante di più, poi su Gwen, su Carlotta… e infine su Elise.

La coccinella muove appena le elitre.

Fiona incrocia le braccia.
«Qualcuno vuole spiegarmi perché siete state coinvolte in una rissa in un vicolo?»

La situazione è di nuovo in equilibrio…
ma questa volta, qualcuno tiene davvero le redini.


Provano a spiegare.
A minimizzare.
A presentare i fatti come un equivoco degenerato.

Basterà?

Tiro
Dado Chance 2, Dado Rischio 3
NO.

La sceriffa Fiona McInnis ascolta in silenzio, il volto impassibile. Poi fa un lieve cenno con la mano, e la coccinella si muove, arrampicandosi sulle sbarre, come se volesse valutare le ragazze.

Fiona sospira piano.
«Peccato.»

Si gira verso Elise, la squadra con uno sguardo più attento, meno indulgente.

«Elise O’Leary,» dice, scandendo il nome. «Risulti indagata per truffa in almeno due giurisdizioni.»

Elise si irrigidisce appena.
«Indagata,» ribatte subito. «Non condannata.»

«Vero,» concede Fiona. «Nessuna condanna. Ma abbastanza segnalazioni da farmi drizzare le antenne. A me e a lei». Indica la coccinella

La Soladina inclina il capo, cercando di mantenere un sorriso disinvolto.
«La gente si arrabbia quando perde a carte.»

«La gente si arrabbia anche quando qualcuno le alleggerisce il borsello,» replica la sceriffa.

Gwen smette di sorridere.
Nadèje incrocia le braccia.
Carlotta stringe le labbra, infastidita.

Fiona continua:
«Quanto a voi tre…»
le guarda una per una
«non risultate ricercate. Ma siete coinvolte in una rissa, e questa città non ama i guai, specialmente in questo periodo.»

La coccinella emette un lieve clic, come se approvasse.

«Nessuno resterà in prigione,» conclude Fiona, «ma nessuno uscirà di qui senza conseguenze.»

Elise abbassa lo sguardo per un istante. Timothy, ignaro di tutto, le sale sulla spalla e squittisce. Lei lo accarezza distrattamente.

L’aria nella cella femminile si fa tesa, più fredda.

Finistrada non è ostile…
ma nemmeno indulgente.


Le ragazze si scambiano uno sguardo rapido.

Nadèje fa un passo avanti, composta ma ferma.
Carlotta annuisce, pronta a stringere i denti.
E Gwen… beh, Gwen decide di giocare una carta diversa.

Un sorriso appena accennato. Uno sguardo caldo. Un’aria innocente che non è del tutto finta.

Tiro con Vantaggio
Dadi Chance 3 e 4, Dado Rischio 4
Sì, ma…

La sceriffa Fiona McInnis le osserva per qualche secondo in silenzio. La coccinella le sale lentamente sulla spalla.

«Va bene,» dice infine. «Ve la cavate con una multa

Fa una pausa.
Poi aggiunge, secca:
«Salata.»

E non è finita.

«E pagherete anche in parte per Elise,» continua, lanciando un’occhiata alla Soladina. «Visto che a quanto pare non naviga nell’oro.»

Elise spalanca appena gli occhi.
«Fiona—»

«Zitta,» la interrompe la sceriffa. «Ringrazia che non ti stia trattenendo.»

Le ragazze pagano.
Monete che spariscono una dopo l’altra.
Il borsello si alleggerisce in modo doloroso.

Quando finiscono, sono tutte piuttosto al verde.

Ma le porte si aprono.

«Andate.» conclude Fiona. «E cercate di non cacciarvi nei guai.»

Un ultimo sguardo di Gwen, quasi un grazie silenzioso.
La sceriffa non sorride… ma nemmeno distoglie lo sguardo.


Fuga da Finistrada

Raccolgono le poche cose rimaste, salutano in fretta — anche Elise, che promette di “sdebitarsi un giorno” con un sorriso obliquo — e si rimettono subito in cammino.

Ci sono cattive nuove dall'Ammiraglio Chevalier? 

Tiro
Dado Chance 4, Dado Rischio —
Sì.

Nessun messaggero.
Nessun soldato dell’ammiraglio Chevalier.
Nessun richiamo dell’ultima ora.

Finistrada resta alle loro spalle, con i suoi vicoli e le sue celle.

Davanti a loro, di nuovo, la strada.

Sono stanche.
Un po’ più povere.
Ma libere.

E l’estate è appena cominciata.

Estate 105 S.P.

La Strada Madre vibra di calore, ma non è ancora opprimente. Il sole estivo picchia deciso, e per una volta i cappelli da mandriane — ridicoli quanto utili — si rivelano una benedizione. Il parasole di Carlotta scivola da una spalla all’altra, proteggendole nelle ore più dure del giorno.

Attraversano il Portico, e l’ombra ampia e solenne offre un sollievo immediato. Il rumore dei passi cambia, l’aria si fa diversa, più densa di echi e di promesse non dette.

Poi la Prima Soglia.

Entrano nella Casa passando per Fuoriporta, la città sospesa tra la porta e il battente: livelli sovrapposti di passerelle in legno e metallo, ponticelli tesi come ragnatele tra edifici e balconate. Sotto, sopra, tutt’intorno, il brulicare continuo di viaggiatori, soldati, mercanti, messaggeri.

Ai posti di controllo, i soldati del Grande Esercito Imperiale esaminano documenti, fermano carrozze, fanno domande.

Evitano che facciano loro problemi?

Tiro con vantaggio (documenti in regola)
Dadi Chance 6 e 2, Dado Rischio 5
Sì, e…

Non appena Nadèje porge i documenti, uno dei soldati sbianca appena. L’altro alza lo sguardo, la squadra, poi fa un cenno rapido e rispettoso restituendo il documento.

«Un momento, per favore.»

Si allontanano. Tornano in fretta.

«Il generale de Morangiasse ha avvertito alcuni uomini di fiducia del vostro arrivo,» dice uno di loro, abbassando la voce. «Siete attese.»

Non ci sono altre domande.

Due soldati di scorta si fanno avanti e, con discrezione ma decisione, le fanno passare avanti, saltando i controlli, attraversando passerelle secondarie, evitando la folla.

Carlotta lancia uno sguardo curioso tutt’intorno.
Gwen osserva in silenzio, Timothy sempre al suo fianco.
Nadèje mantiene il passo, ma il cuore le batte un po’ più forte.


Le conducono a una carrozza elegante, scura, con gli stemmi della gendarmeria appena accennati incisi sul legno.

Non è grande — per un umano sarebbe poco più di un giocattolo — ma per loro è solida, ben tenuta, con sospensioni fatte di zampe di blatta e fibre vegetali intrecciate.

Davanti, due grossi topi da tiro, dal pelo grigio lucido e con piccole bardature in cuoio, fremono impazienti. Uno di loro annusa l’aria, l’altro batte nervosamente la coda contro il selciato. Un soldato imperiale fa loro un cenno con un fischio basso.

Lo sportello si apre.

«Direzione: Sala da Pranzo

Carlotta sorride appena vedendo i topi.
Gwen si assicura che Timothy sia ben sistemato e tranquillo sul sedile, cosa che lui accetta con uno squittio dignitoso, occhieggiando i suoi simili molto più grandi.
Nadèje sale per prima, con la postura di chi conosce quel mondo e sa che, anche in scala ridotta, il potere pesa.

Le portiere si chiudono con un tonfo morbido.

I topi partono al trotto, rapidi e precisi, facendo vibrare leggermente la carrozza mentre imboccano una stretta strada sotto le passerelle di Fuoriporta.

La Casa le ha accolte.

E ora, più che mai,
sono dentro le sue mura e dentro la sua storia.


La carrozza le deposita a La Ruelle, appena oltre la Soglia della Sala da Pranzo: una strada stretta, coperta da arcate basse, piena di botteghe dalle facciate di legno chiaro, con l'aria pervasa del profumo dei dolcetti al miele. Qui si vende di tutto ciò che serve per apparire presentabili nella Casa… senza arrivare al lusso vero.

Nadèje e Carlotta insistono.
«Non possiamo presentarci così,» dice Carlotta, guardando i loro abiti da mandriane con rassegnazione.
Nadèje sospira, ma annuisce.

Trovano qualcosa di decente?

Tiro
Dado Chance 2, Dado Rischio 1
Sì, ma…

C’è scelta.
Solo che è tutta in stile Impero Domestico del Reame.

Linee pulite, colori chiari, tessuti leggeri. Niente tagli pratici, niente richiami all’Orda.

Nadèje stringe le labbra mentre si specchia. Alla fine prende un abito azzurro pallido, di tessuto fine: leggero, troppo banale tipico del Reame per i suoi gusti.
La scollatura è quadrata, la gonna ampia.

«Troppo chiaro,» brontola.
«Troppo scollato — le scollature quadrate non  donano, stanno bene alle donne più floride come te, Carlotta.». Sorride alla moglie "Ho sempre invidiato il tuo décolleté, amore mio".
Si gira di lato. «E la gonna mi intralcia! Come si duella con una cosa del genere?»

Carlotta ride piano.
«Respira. Almeno non sembri una mandriana.»

Ed è vero.


Carlotta trova qualcosa che, sorprendentemente, le piace.
Un abito color crema tendente al pesca, con maniche a tre quarti e la vita alta. Non è appariscente, ma cade bene, valorizza la sua figura e lascia libertà di movimento.

«Questo…» dice, guardandosi allo specchio, un po’ sorpresa. «Questo potrei indossarlo davvero.»

Si aggiusta l’orlo, fa un mezzo inchino scherzoso verso Nadèje.
«Vedi? Anche il Reame, ogni tanto, azzecca qualcosa.»


Gwen, invece, sceglie quasi senza pensarci troppo.
Un vestito verde scuro, semplice, con un corpetto morbido e una gonna non troppo ampia. È pratico, quasi sobrio — ma il colore le sta benissimo, fa risaltare i capelli e gli occhi.

«Non sarà elegante,» dice, «ma mi ci riconosco.»

E mentre lo dice, Timothy sbuca da un salottino di prova, annusa l'orlo della gonna e si sistema come se approvasse la scelta.

Gwen sorride, davvero.


I vestiti sono modesti.
Tutti decisamente Impero Domestico.
Ma sono puliti, nuovi, e soprattutto… dignitosi.

Molto meglio di quelli di Lone Rock.

E quando escono dalla bottega, più leggere nel portamonete ma un po’ più sicure di sé, la Casa sembra guardarle con occhi meno severi.

Ora sono pronte.

O almeno…  abbastanza pronte.


Le ragazze (più Timothy) decidono di pernottare a La Ruelle e ripartire il mattino dopo. La notte sarà tranquilla? Tiro: Dado chance 2, dado rischio 5: No! Cosa succede?

No, la notte non è affatto tranquilla.


Cosa succede a La Ruelle

Nel cuore della notte, quando la locanda è immersa in un silenzio solo apparentemente rassicurante, qualcosa va storto.

Un rumore secco, come legno che scricchiola sotto un peso improvviso, sveglia chi dorme più leggero. Subito dopo, un grido soffocato al piano inferiore.

La notte a La Ruelle – Camera di Gwen

La porta non viene sfondata.
Si apre lentamente, con la precisione di chi ha già contato i passi e conosce il cigolio esatto da evitare.

Due ombre entrano nella stanza di Gwen.
Professionisti. Silenziosi. Niente parole.

Uno resta vicino alla porta.
L’altro avanza verso il letto, la punta di chiodo pronta, pensata per il lavoro sporco e rapido: un colpo sotto le costole, poi alla gola. Nessun rumore.

Gwen riuscirà a svegliarsi in tempo? Tiro con vantaggio per Timothy sotto il letto: Dado Chance 5 e 4, dado rischio 2: Sì!

Timothy si rivela molto utile

Gwen non dorme profondamente.
Il suo amico Timothy si sveglia prima di lei e squittisce rumorosamente .

Gli occhi si aprono un istante prima che la lama scenda.

Gwen sbrocca.

Non è rabbia controllata, non è tecnica: è quella cosa antica, viscerale, che i Boggart chiamano la forza che viene dalla terra. Un ringhio le sale dalla gola mentre fa un passo avanti e strappa la camicia da notte sulle spalle e sulle braccia, il tessuto che cede con un suono secco.

Gli occhi le brillano.

Si lancia contro il pugnalatore, un Fae atletico, rapido, abituato a colpire e sparire. Gwen cerca di afferrargli il polso, di piegargli il braccio contro il muro, di strappargli via la lama.

Tiro con vantaggio
Dadi Chance 4 e 1, Dado Rischio 5
NO, e…

Il Fae è veloce. Troppo.

Scivola di lato all’ultimo istante, il pugnale graffia l’aria dove un attimo prima c’era il fianco di Gwen. Lei riesce quasi a prenderlo, le dita chiudono sul nulla, e l’impatto la sbilancia contro una mensola.

Il colpo fa male.

E allora succede il peggio.

Dal fondo della stanza si sente un movimento rapido —
l’altro malvivente entra nella mischia.

Un’ombra che si stacca dalla parete. Un passo deciso. Una mano che afferra qualcosa di pesante.

Ora Gwen è in due contro uno.

Il Fae atletico le gira intorno, cercando un’apertura.
L’altro avanza frontalmente, pronto a colpire mentre lei è scoperta.

Il tempo sembra rallentare.


Timothy squittisce, terrorizzato, ma resta vicino a Gwen.

La situazione è critica.

Nadèje e Cralotta sentiranno i rumori e si sveglieranno in tempo?

Tiro
Dado Chance 6, Dado Rischio 6
Sì, MA… Colpo di scena!

Il rumore nella stanza di Gwen è troppo forte per ignorarlo.

Nadèje e Carlotta si svegliano di colpo.

Non sono intontite dall’alcol — non ne hanno bevuto, anche a causa dei fondi limitati — né appesantite da cibo. Ma il calore della notte, il viaggio, e sì… anche un po’ di pace finalmente ritrovata, le hanno rese lente per un battito di cuore di troppo.

La porta si spalanca.

Le due escono in camicia da notte.

Nadèje ha già la lancetta in mano, i capelli sciolti sulle spalle, lo sguardo lucidissimo nonostante il sonno spezzato.
Carlotta stringe il parasole, chiuso, pronto a diventare arma o scudo a seconda del bisogno.

Ma—

colpo di scena.

La luce della lanterna rivela che non c’è solo Gwen in pericolo.

Uno dei due malviventi — quello entrato per secondo — non sta affrontando Gwen.

Sta arretrando.

Ha il volto teso, gli occhi fissi su Nadèje.

«Merde…» sussurra.

Perché la riconosce.

La camicia da notte non inganna: la postura, la lama, quel modo di stare in piedi come se il mondo fosse un duello costante.
«È… è una de Morangiasse.»

Il Fae atletico esita per una frazione di secondo. Una frazione decisiva.

E mentre Gwen stringe i denti, pronta a colpire di nuovo…
mentre Carlotta fa un passo avanti, il parasole pronto…
da fuori, nel corridoio, si sente un altro rumore.

Per un istante tutto resta sospeso.

Poi—

un ronzio.

All’inizio sembra solo il rumore della Casa che respira, ma cresce, si moltiplica, diventa un suono compatto, vivo.

Dalla finestra aperta entra la prima ape.
Poi un’altra.
Poi molte.

Api grandi, dorate, con striature scure e ali che vibrano come corde tese. Arrivano in formazione, precise, furiose.

La Culla di Cera non è lontana.
E le api ricordano.

Ricordano le mani che le hanno difese.
Ricordano chi ha messo in fuga i cacciatori.

Il primo a urlare è il Fae atletico, quando una nube dorata gli piomba addosso. Lascia cadere il pugnale e barcolla all’indietro, cercando di proteggersi.

«No— NO—!»

L’altro malvivente non fa in tempo a reagire: le api lo caricano come una marea viva. Cade in ginocchio, accecato, urlando.

«ORA!»  Nadèje scatta in avanti: la lancetta cala in un  colpo secco sul polso del Fae: la lama vola via.

Carlotta brandisce il parasole come un bastone, colpendo dietro il ginocchio dell’altro aggressore.
Gwen, ancora col petto che ansima, chiude la distanza e con un colpo brutale lo manda al tappeto.

Le api si diradano solo quando i due uomini non si muovono più.

Silenzio.
Solo il ronzio che lentamente si allontana, tornando verso la notte.

Un attimo dopo arrivano i gendarmi della Casa, richiamati dal frastuono e dalle urla. Armi spianate, lanterne alte.

«Fermi!»

Non c’è resistenza.

I due criminali vengono ammanettati, coperti di punture, piangenti, sconfitti.

Uno di loro cede subito.
L’altro resiste pochi secondi in più.

«Siamo stati mandati da—»
deglutisce, guarda Nadèje, guarda Gwen
«—dall’ammiraglio Chevalier

La parola cade nella stanza come piombo.

I gendarmi si scambiano uno sguardo teso.

Nadèje stringe l’elsa della lancetta.
Carlotta sente un brivido freddo.
Gwen abbassa lentamente le spalle, il respiro ancora irregolare.

Non è finita.
Non lo è mai stata.

Ma stanotte…
hanno vinto.

E fuori, invisibili nella notte della Casa,
le api vegliano ancora. 🍯🐝


L’arrivo al Pianoforte

Dopo la deposizione alla Gendarmeria, il viaggio verso il Pianoforte ha qualcosa di ovattato.
Le ragazze sono stanche, ancora un po’ rigide per la notte agitata, ma c’è quella tensione sottile che precede gli incontri importanti.

Quando la montagna appare, scura e verticale, Mont Guignol non accoglie: osserva.

Il Pianoforte sembra sempre sul punto di chiudersi su chi lo percorre. Il mogano annerito, le ombre tra i “tasti”, la sensazione che la musica—la Musica del Padrone—non sia solo insegnata ma incisa nel legno stesso.

Il viaggio in escargot rallenta tutto.
Il tempo si distende.
È impossibile arrivare di corsa a casa di Nadèje: la montagna lo impedisce.

Timothy, nella cesta, annusa l’aria inquieto. Gwen lo calma con un dito. Carlotta osserva in silenzio la Scalinata d’Avorio, colpita dalla bellezza spezzata dei tasti crollati: una scala che è una ferita, trasformata in passaggio.

Nadèje, invece, riconosce tutto.
Ogni gradino è un ricordo.


Mont Guignol: una città che suona

Entrare a Mont Guignol è come entrare in una partitura viva.

Il primo piano è un’esplosione controllata di suoni e odori:
– archi che provano scale
– flauti che si rincorrono
– tamburi improvvisati su casse di risonanza
– il profumo caldo della farina di castagne
– il legno ovunque, levigato, consumato, amato

Qui l’arte non è decorazione: è sopravvivenza.

Le ragazze attirano sguardi. Non ostili, ma curiosi. Nadèje viene riconosciuta, non apertamente, ma con quei micro-gesti tipici di chi ha imparato a non dire tutto: un inchino accennato, uno sguardo che indugia un secondo di troppo.

Carlotta sente il peso del luogo.
Gwen ne è affascinata.

E poi, inevitabilmente, il monumento del Ragno Farfalla.
Ossidiana e cristallo.
Bellezza e violenza saldate insieme.

Un presagio, forse. O un promemoria.


Avvicinarsi a casa

La casa dei de Morangiasse–Eminonu non è nel cuore più mondano della città, ma nemmeno a Tournoire.
Un luogo di confine, come la loro famiglia.

Quando arrivano davanti all’ingresso, Nadèje rallenta.
Si ferma.

È passato più di un anno.
Un anno di lettere, sì—ma le lettere non mostrano come si cammina ora, come si guarda la propria moglie senza pensarci, come il corpo abbia imparato una nuova quiete.

Carlotta le prende la mano.
Non dice nulla.
È già abbastanza.


L’incontro

La porta si apre prima che bussino.

Elìf Eminonu è lì.

I capelli scuri raccolti in modo disordinato, un abito semplice macchiato di colore e farina—stava lavorando, sicuramente cantando mentre preparava qualcosa. I suoi occhi, profondi e liquidi, si riempiono subito.

Per un istante resta immobile.

Poi:

«Nadèje.»

La voce le trema.
E basta quello.

L’abbraccio è improvviso, totale, sluagh fino al midollo: caldo, avvolgente, disperatamente reale. Elìf stringe la figlia come se volesse accertarsi che sia davvero lì, viva, intera.

Solo dopo guarda Carlotta.

La guarda davvero.

Non come “la moglie di mia figlia”, ma come chi ha condiviso un anno di vita lontano da casa.

«Benvenuta,» dice, semplicemente.

E in quella parola c’è già accettazione.


Il generale Bertrand de Morangiasse

Bertrand arriva qualche istante dopo.

Imponente anche ora, anche senza uniforme completa. Fae fino al midollo, postura da generale che non ha mai smesso di essere tale. Si ferma sulla soglia, osserva la scena—Nadèje, Carlotta, Gwen con il topo, le borse consunte—e non parla subito.

Poi fa due passi avanti.

Saluta con u ninchino un po' rigido, molto militare "Ben arrivate signore". Poi guarda sua figlia.

«Sei cresciuta,» dice a Nadèje.

Non è un commento sull’altezza.
È su tutto il resto.

Le prende il volto tra le mani, gesto sorprendentemente tenero per un uomo con quella reputazione. La guarda negli occhi, a lungo.

Infine annuisce.

Carlotta percepisce quel momento come una prova silenziosa.
E, a modo suo, sa di averla superata.


L’atmosfera complessiva

L’arrivo a Mont Guignol non è festoso.
Non è leggero.

È denso.


Bertrand ricambia l’abbraccio di Nadèje con una forza misurata, quasi timida, come se stesse ancora imparando chi è diventata sua figlia. Poi, quando lei gli chiede della Zarina, il generale sospira piano e si passa una mano sul mento.

«La zarina è… molto corteggiata, in questo periodo,» dice con una smorfia appena accennata. «Il Circolo d’Oro la sta pressando perché scelga uno sposo di sangue imperiale. Dicono che il Reame abbia bisogno di stabilità, di simboli chiari. Come sempre.»

Fa qualche passo nella stanza, il legno del pavimento che risponde con un suono sordo.

«Sono riuscito a farle arrivare una lettera, e non una qualsiasi. L’ha letta. Ne sono certo.»
Qui abbassa la voce. «Non ho ancora avuto un’udienza formale. Quella è fissata… tra tre giorni.»

Si ferma. Le guarda tutte e tre, una dopo l’altra: Nadèje, Carlotta, Gwen—e Timothy che sbuca curioso da dietro le gonne della Boggart.

«E qui viene il ma
Un mezzo sorriso, di quelli che annunciano guai eleganti.

«La Zarina ha chiesto esplicitamente che non mi presenti da solo. Vuole vedervi. Tutte. Le “giovani donne di cui si parla nelle lettere”, come ha detto lei.»

Elìf solleva un sopracciglio, divertita e preoccupata insieme.
Gwen sbarra leggermente gli occhi.
Carlotta sente un piccolo brivido scenderle lungo la schiena.

Bertrand conclude, con tono pratico ma affettuoso:

«Tra due giorni sarete presentate alla Zarina Arcadia. Non come mie accompagnatrici, ma come parte in causa. Qualunque cosa stia muovendosi sotto la superficie—matrimoni imperiali, ammiragli vendicativi, trattati violati—lei vuole sentirla raccontata… da voi.»

Fa un cenno verso la città oltre le finestre di mogano.

«Riposerete, vi preparerete, per ora.»
Poi, più piano: «Ma sappiate che quell’udienza potrebbe cambiare parecchie cose.»

I due giorni successivi le ragazze sono ospiti dei genitori di Nadèje, che sia pure con qualche imbarazzo (quasi solo da parte del padre) accolgono cordialmente Carlotta e Gwen. 

Però non c'è moltissimo tempo da dedicare al riposo perché ovviamente le nostre tre giovani donne, accompagnate da Elìf, si recano da una sarta per farsi confezionare abiti adatti all'udienza imperiale della Zarina Arcadia Oberonovna.La sarta di Mont Guignol lavora in una bottega incastonata tra due archi di mogano, dove la luce filtra calda attraverso vetrate color ambra e polvere d’oro. È una Fata anziana, ali opache come pergamena, dita sottili e velocissime, e uno sguardo che misura le persone prima ancora dei tessuti.

Elìf tratta con lei a bassa voce, con la naturalezza di chi conosce il valore dell’arte e non ha bisogno di alzare il tono. Nadèje, intanto, mostra alla madre la sciarpa da duello recisa: il taglio è netto, preciso.

Elìf la prende tra le mani, la osserva, poi sorride.

«Mi nteressa che tu sia viva e sana. La sciarpa si può riacquistare»
Poi, senza ironia: «Sono orgogliosa di te. E di chi hai scelto.»
Guarda Carlotta con attenzione sincera. «Una buona voce è sempre una benedizione. Anche a corte.»

Gli abiti

Nadèje sceglie senza esitazioni.
Un abito  nei toni del blu-notte e del carbone, in stile Orda: tunica lunga asimmetrica, stretta in vita da una cintura ricamata a mano, con piccoli bottoni sferici, pantaloni morbidi sotto la gonna aperta ai lati per permettere il movimento. Le maniche sono lunghe ma leggere, il collo alto, niente scollature.
Il tessuto è impreziosito da filigrane sottili color argento che ricordano mappe stellari e lame curve. La lancetta avrà il suo posto, dichiarato ma non ostentato.

È elegante, fiera, inequivocabilmente se stessa.

Carlotta opta per qualcosa che unisca la sua anima artistica alla formalità richiesta.
Un abito chiaro ma non fragile, rosa caldo tendente al pesca, con una gonna ampia ma leggera, che cade bene senza ingombrare. Il busto è semplice, con scollatura quadrata impreziosito da ricami muffofloreali ispirati agli antichi Sluagh, un richiamo sottile alla loro ricerca e alla loro storia.
Eleganza sobria che richiama due nazioni diverse.

Gwen sorprende tutte.
Sceglie un abito strutturato, color verde scuro e bronzo, con giacca corta rinforzata, gonna elegante ma pratica e stivali rifiniti. Niente fronzoli, ma dettagli curati: bottoni incisi, cuciture nette, un foulard chiaro al collo.
È un abito che dice: sono qui per scelta, non per caso. In rispetto dell'etichetta di corte,Timothy sarà condotto con un guinzaglio in tinta.

La sarta lavora veloce, con piccoli aggiustamenti continui, e alla fine si allontana per osservarle insieme.

Saranno vestiti davvero adatti all'occasione?; Tiro con vantaggio: Dadi Chance 3 e 4, Dado rischio 4:

Sì, ma…

Gli abiti sono assolutamente adatti all’udienza.
Raffinati, coerenti, degni di essere visti dalla Zarina Arcadia.

Ma.

La sarta inclina appena il capo e dice, con voce calma:

«Questi vestiti non vi faranno scomparire nella corte.
Vi faranno notare

Elìf lo capisce subito. Bertrand lo capirà più tardi, con un leggero battito d’ali nervoso.

Nadèje, Carlotta e Gwen non appariranno come semplici accompagnatrici del generale.
Sembreranno—e saranno—tre presenze politiche, portatrici di storie, conflitti e possibilità.

La Zarina non vedrà solo tre giovani donne ben vestite.

Vedrà una coppia sposata fuori dalle norme,
e una Boggart che ha incontrato esseri mitologici,  pirati, ammiragli e Calcamorte,

Le ragazze potranno attirare anche sguardi non proprio amichevoli alla corte di Astravya Altaluce...


Dal diario di Nadèje

Mont Guignol, notte prima dell’udienza

Scrivo seduta sul letto della mia vecchia stanza, quello che scricchiola sempre un poco quando mi muovo, come se il legno volesse ricordarmi che sono tornata davvero. Le pareti odorano ancora di resina e carta vecchia, e dalla finestra entra il respiro profondo del Pianoforte, un suono basso, quasi musicale.
Carlotta è dall’altra parte della stanza e fa gli esercizi per la voce: scale lente, poi un gorgheggio  che sale e scende come un filo teso. Mi calma più di quanto voglia ammettere.

Sono agitata.
Non tanto per l’abito, o per la corte, o per l’etichetta—quelle le ho affrontate altre volte—ma per la Zarina. Mi chiedo se ci ascolterà davvero, se vedrà oltre le formule e i salamelecchi. So che la situazione è fragile: il Reame, la Corte del Seelie di Titania, equilibri che sembrano di cristallo sottile. Intervenire senza spezzarli è quasi impossibile.
Eppure non fare nulla è già una scelta. E non è una scelta che riesco ad accettare.

Il mio abito nuovo mi piace più di quanto mi aspettassi. È scuro, profondo, mi avvolge senza stringere. Sottolinea la vita e le spalle, mi fa sentire solida, centrata. Posso muovermi, respirare, persino combattere se fosse necessario. E il colore—oh Stelle, il colore—mi dona davvero, assomiglia al Cielo notturno nel Giardino. Quando mi sono vista allo specchio non ho pensato “sono elegante”, ma “sono io”. È una sensazione rara, e preziosa.

Sono felice, profondamente felice, che i miei genitori abbiano accettato Carlotta.
Mamma non mi ha sorpresa: lei ha sempre visto le persone prima delle convenzioni. Ma papà… papà è stato diverso. Rigido, dritto come uno spillo per tutta la vita, eppure capace di amare una Sluagh quando tutti gli dicevano che non era appropriato. Forse proprio per questo ha capito. Sicuramente per questo.
Quando ha guardato Carlotta non ho visto tolleranza. Ho visto rispetto. E sollievo.
Con lei voglio un futuro. Non uno facile, forse, ma uno vero.

La voce di Carlotta si interrompe. Il silenzio dura appena un battito di cuore. Poi il materasso cede leggermente mentre si siede accanto a me. Non dice nulla. Mi prende il viso tra le mani, mi bacia piano, poi mi stringe. Forte quanto basta da farmi sentire che non sono sola, che non devo esserlo.

Appoggio la fronte alla sua spalla e chiudo il diario.
Qualunque cosa accada domani, so questo: ci andremo insieme.

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