Nadèje, Carlotta, Gwen e Naoko partirono per la Porta della Luna proprio nei primi giorni d'Autunno.
Il nuovo viaggio è iniziato da poco, è il primo pomeriggio di un giorno di settembre, e il paesaggio del Giardino è quieto, quasi troppo. Erba alta e coriacea, pochissimi fiori ormai stanchi, un venticello che annuncia la stagione nuova e porta con sé le prime foglie secche. Qualche nube ma nessuna pioggia — Tiro 3, quindi no intemperie — e per un momento sembra che sarà un viaggio semplice.
Ma quando il cielo si fa più chiaro, Naoko alza lo sguardo e sbianca.
Un gheppio, falco piccolo ma rapido come un lampo, sta girando in cerchio sopra di loro.
Nadèje stringe la lancetta.
Carlotta si avvicina istintivamente a lei.
Gwen borbotta: «Non mi piace come ci guarda…»
Il falco piega le ali all’indietro.
Sta scendendo in picchiata.
Riusciranno a trovare un riparo in tempo?
Tiro: Dado Chance 2, Dado rischio 6 → NO.
Non c’è nessun nascondiglio vicino: solo prato aperto.
Naoko grida: «Correte!»
Ma è già troppo tardi.
Chi viene presa?
Tiro 1d4 → 1 = Nadèje.
Con un fischio tagliente, il falco piomba su di loro come un sasso lanciato dall’alto. Le ali si allargano all’ultimo momento e gli artigli si chiudono sulle spalle di Nadèje, sollevandola di colpo.
La Fata emette un gemito strozzato mentre il mondo le si ribalta sotto i piedi.
Carlotta urla il suo nome, correndo sotto di lei.
Gwen tenta di afferrarla per una caviglia, mancando per un soffio.
Il falco batte le ali una, due, tre volte, guadagnando quota: vuole portarsi via la sua preda.
Nadèje penzola dagli artigli, cercando disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi mentre la campagna diventa sempre più piccola sotto di lei…
Carlotta corre più veloce che può sotto la traiettoria del falco, le braccia protese verso Nadèje.
Gwen fruga freneticamente nella bisaccia. «Serve qualcosa… qualcosa che lo spaventi…!» Impugna la sua piccola pistola, ma l'uccellaccio sta volando troppo in alto e anche se così non fosse, correrebbe il rischio di colpire Nadèje.
Naoko rovescia la sua borsa da botanica per terra, con le mani tremanti: fiale, erbe, radici… ma niente che possa raggiungere un falco in volo.
Le tre si guardano, disperate, mentre la sagoma dell’uccello si fa più piccola nel cielo.
Riusciranno a fare qualcosa?
**Tiro con Svantaggio: Dado Chance 3, Dadi rischio 1 e 5 → NO.**
Gwen tenta un ultimo disperato lancio di una delle sue muffe essiccate, ma la polvere si disperde prima ancora di avvicinarsi al falco.
Naoko, con voce spezzata: «Non… non ho nulla per colpire così in alto!»
Carlotta urla: «NADÈJE!»
La sua voce si perde nel vento.
Il falco è ormai irraggiungibile, le ali che fendono l’aria con sicurezza crudele mentre porta via la Fata, stretta negli artigli come un giocattolo rubato.
Nadèje, oscillando nel vuoto, riesce solo a vedere i volti delle sue amiche diventare piccoli puntini sotto di lei, mentre la bestia la trasporta verso le nubi dell’autunno nascente.
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Il falco vola rapido verso Nord-Ovest, portando Nadèje sempre più lontana dalle sue compagne. L’aria fredda le frusta il viso mentre sotto di lei compaiono gli alberi alti e fitti del Lontano. Il rapace abbassa le ali, rallentando: ha trovato un ramo robusto dove consumare il suo pasto.
L’artiglio stringe più forte sulla vita della Fata… poi, per agguantarla meglio, il falco allenta la presa un attimo e china il becco per afferrarla e sgranocchiarla viva.
Nadèje riuscirà a liberarsi?
**Tiro: Dado Chance 6, Dado rischio 2 → Sì.**
Nadèje sente la pressione diminuire. È l’unica occasione.
Con un movimento fulmineo, libera la lancetta dal fodero.
«Non oggi!» urla.
Colpisce la zampa del falco con tutta la forza che ha. L’uccello stride, sbilanciato. Lei vibra un secondo colpo, questa volta sul becco ricurvo che stava per serrarsi attorno al suo torso.
Il falco lancia un verso stridulo, sorpreso dal dolore, e la lascia andare.
Nadèje precipita per pochi battiti di cuore… poi apre le ali, tremanti ma operative, e si infila tra il fogliame del bosco autunnale. Le foglie hanno iniziato a ingiallire, ma non sono ancora cadute: la chioma è fitta abbastanza per proteggerla dallo sguardo del rapace infuriato che gira in cerchi sopra di lei, incapace di ritrovarla.
La Fata si posa su un ramo nel fitto del fogliame, il fiato corto, la mano destra che stringe ancora la lancetta sporca della polvere delle piume del falco.
È viva.
Ma è sola nel Lontano.
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**Cosa fanno Carlotta, Gwen e Naoko dopo il rapimento di Nadèje**
Il falco è sparito oltre la linea degli alberi del Lontano.
Le tre rimangono immobili per alcuni lunghi secondi, come se il mondo stesso avesse perso colore.
Carlotta
È la prima a reagire.
Si mette a correre nella direzione in cui il falco è scomparso — un gesto istintivo, disperato.
«Nadèje! Nadèje!» grida finché la voce non le si spezza.
Solo quando Gwen la raggiunge e la trattiene per le braccia, Carlotta cede, con i fianchi che tremano per l’ansia.
«Non posso… non posso perderla…» mormora, come se le parole fossero schegge.
Gwen
La Boggart, ancora pallida per lo shock, tenta di mantenere la lucidità.
Ha la gamba guarita da poco e non può correre per ore, ma fruga freneticamente nella bisaccia: carte, appunti, mappe, una bussola domestica, un filo da misurazione.
«Il falco l’ha portata verso Nord-Ovest. Non è un buon segno, ma… i falchi non volano mai a lungo quando hanno una preda. Dev’essersi posato non troppo lontano.»
Poi si ferma, sospira.
«Ma non possiamo addentrarci nel Lontano senza preparazione. Rischiamo di perderci anche noi.»
Naoko
È lei, paradossalmente, la più calma.
Si toglie il cappellino di fibre d'erba, lo stringe fra le mani e dice:
«Mia nonna diceva che quando il Lontano è… capriccioso. A volte, separa per proteggere.»
Carlotta la guarda come se fosse impazzita.
Naoko scuote la testa e continua:
«Non sto dicendo che Nadèje sia al sicuro. Sto dicendo che dobbiamo ragionare come se il bosco fosse vivo.»
Poi si inginocchia e tocca il terreno morbido.
«Segni di lotta? Piume? Una traccia?»
**Il primo giorno di ricerca**
Le tre passano ore a rastrellare la zona attorno al punto in cui il falco è salito in quota.
* **Gwen** cerca tracce logiche.
* **Naoko** cerca tracce naturali.
* **Carlotta** cerca… disperatamente.
Alla fine trovano solo due indizi:
1. **Una piuma del falco**, spezzata.
2. **Una goccia di sangue (di volatile, non di Fata) su una foglia caduta.
È poco. Ma è qualcosa.
**La decisione**
Quando arriva il tramonto, Carlotta vuole proseguire comunque nel bosco.
Ma Naoko la ferma.
«No. Il Lontano di notte è letale. Lei stessa non lo vorrebbe, vero?»
Carlotta lotta contro le lacrime, ma alla fine cede.
Gwen accende un lumino di muffa brillante e dice:
«Domani all’alba ripartiamo. Vedrai, Carlotta: Nadèje è dura da abbattere. Ti ricordi? Ha messo in fuga una mantide alta due volte me.»
Un mezzo sorriso sfiora le labbra di Carlotta, e il fuoco nel petto si fa più sopportabile.
**La notte**
Dormono male, tutte e tre.
Carlotta passa gran parte del tempo seduta all’ingresso della tenda, fissando il Nord-Ovest con occhi febbrili.
Ogni tanto sussurra:
«Resisti, amore… resisti.»
La separazione non sarà breve.
E nessuna sa cosa stia affrontando, in questo momento, Nadèje nel folto del Lontano.
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In fuga nel Lontano
Nadèje vola tra i rami, ancora dolorante per la presa del falco, ma viva.
L’uccellaccio non ha rinunciato alla preda: volteggia ancora tra le fronde più alte, scrutando ogni movimento sotto di sé.
Riuscirà a sfuggirgli di nuovo?
Ha la copertura dei rami, quindi tira con vantaggio:
* **Dadi Chance 3 e 5**, **Dado Rischio 5** → **SÌ, MA… (+1 contatore colpi di scena)**
Nadèje riesce a sfuggire alla vista del rapace e infila il piccolo corpo nel cavo di un vecchio tronco.
Respira piano, immobile come una statua di legno. Il falco continua a girare sopra di lei per un tempo lunghissimo, tanto che non osa muoversi fino a quasi il calare della sera.
Quando finalmente il verso rauco del predatore si allontana e il cielo inizia a scurirsi, Nadèje decide che deve tentare di raggiungere il sud — la direzione in cui dovrebbe trovare le compagne.
**Tentativo di orientarsi**
Tira senza vantaggio:
* **Dado Chance 3, Dado Rischio 3** → **SÌ, MA… (+1 al contatore dei colpi di scena – prossimo doppio = colpo di scena attivato)**
Nadèje riesce a capire grossomodo la direzione del sud, seguendo la disposizione delle fronde e qualche scorcio di cielo ancora visibile tra le foglie ingiallite.
Fa un buon tratto di strada, finché il chiarore non svanisce.
**Sorpresa dal tramonto**
Il “ma” del tiro precedente pesa: la notte la coglie in mezzo ai rami, senza che abbia trovato un vero riparo.
Si ferma, sospesa su un ramo più grosso, e ascolta i rumori del Lontano.
È un errore.
Nel Lontano, restare esposta di notte significa chiamare pericoli.
**Tentativo di evitare incontri**
Tira **con svantaggio**:
* **Dado Chance 3, Dadi Rischio 3 e 6** → **NO** Non riesce a evitare un incontro pericoloso.
Il buio si infittisce.
Tra le foglie morte e i rami scricchiolanti, un odore di pelliccia e fame si avvicina.
**L’incontro**
È una donnola, una massa allungata di muscoli e pelo scuro, che si muove come un’ombra col fiato caldo di fame.
Il muso appuntito si solleva.
Annusa.
Sta cercando una preda.
Sta cercando lei.
E Nadèje è sola.
Sola nel Lontano.
Sola sugli alberi con un predatore che sa arrampicarsi.
**La Donnola del Lontano**
All’inizio Nadèje non capisce che creatura sia.
Tra le ombre del tronco vede solo una massa di pelliccia scura, lunga… troppo lunga.
Non somiglia a nessun animale che abbia mai incontrato nel Giardino né nella Casa: sembra un grande ratto, ma più slanciato, più elegante, e soprattutto molto più veloce.
Il muso appuntito brilla di umidità, le narici fremono, e quando apre la bocca Nadèje intravede denti sottili, arcuati, affilati come aghi di ossidiana.
È una bestia fatta per cacciare nel buio.
E la notte sta scendendo.
La creatura la fiuta.
Fa un verso basso, quasi un grugnito sordo.
Poi — senza nessun preavviso — scatta.
Il suo corpo serpentino si avvita sul tronco, sale, corre verso di lei con un’agilità impossibile, come se fosse un’ombra animata da fame pura.
Le sue zampette artigliate fanno appena rumore sulla corteccia: *tac-tac-tac*, sempre più vicino.
Nadèje fa un sobbalzo: il predatore è già a pochi palmi da lei.
Riuscirà a sfuggire alla donnola?
Tiro: **Dadi Chance 2 e 5, Dado Rischio 2 → SÌ**
Nel momento esatto in cui la bocca della donnola scatta verso di lei, Nadèje spalanca le ali.
Il soffio d’aria le arruffa i capelli, le punzecchia la nuca: le fauci si chiudono dov'era lei un secondo fa*.
Vola via a zig-zag tra i rami, la fioca luce lunare le permette di vedere più o meno dove sta andando, ma gli alberi sono fitti qui, non c'è abbastanza vuoto per riuscire a seminare la donnola predatrice
La bestia balza di ramo in ramo dietro di lei, i suoi movimenti sono fulminei e silenziosi, ma il cielo notturno è un alleato: Nadèje sfrutta ogni fessura, ogni foglia rimasta, ogni ramo flessibile per sfuggire ai suoi salti.
Finalmente riesce a raggiungere un ramo altissimo e sottile, troppo esile perché la donnola possa seguirla senza rischiare di cadere.
La creatura si ferma sotto di lei, frustrata, fiutando l’aria con brevi ringhi sommessi.
Poi, lentamente, la bestia si allontana tra le fronde.
Non perché abbia rinunciato.
Solo perché ha capito che oggi non può raggiungerla… ma la notte è lunga.
E Nadèje è ancora sola nel Lontano.
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**Riuscirà Nadèje a trovare un rifugio tra gli alberi del Lontano?**
Tiro (normale): **Dado Chance 6, Dado Rischio 6→ SÌ, MA… Colpo di scena!
Un incontro ostacola la personaggia...
**Nel rifugio dell’albero cavo — Colpo di Scena**
Il rifugio Nadèje lo trova — eccome se lo trova.
È un incavo ampio, quasi una piccola stanza naturale scavata nel cuore di un grande tronco morto.
C’è muschio secco, un odore di resina e un silenzio che invita al riposo.
SÌ…è un riparo.
MA… proprio mentre entra, qualcosa le sfiora il braccio.
Non è un insetto.
Non è un ramoscello.
È una piuma
Una piuma lunga, morbida, color **champagne**, con riflessi che catturano ogni briciola di luce lunare.
Una piuma molto grande....
Il cuore di Nadèje le scende nei piedi.
Il posto è un rifugio — sì.
Ma evidentemente è il rifugio di qualcun altro.
Nadèje ha appena il tempo di voltarsi verso l’uscita, pronta a scappare, quando un’ombra enorme si posa sulla cavità dell’albero.
Un fruscio profondo come una veletta di seta.
Un colpo d’aria gelida.
E poi… due occhi scuri si accendono nel buio.
**Il Grande Barbagianni Lancaster.**
Il più famoso tra i predatori notturni del Giardino — un tempo.
Ora le sue penne sono arruffate, opache; il capo pesante come se l’intero mondo gravasse sul suo dorso.
Nel becco tiene una piccola lucertola, già morta per il freddo.
Entra nell’incavo trascinando le ali, come un vecchio guerriero stanco.
E si trova davanti… lei.
La guarda a lungo, inclinando la grande testa ovale da un lato.
Gli occhi si stringono a fessura.
E poi, con voce greve e profonda, come un tronco scavato dal vento:
**«Chi sei?»**
Nadèje sente un peso improvviso schiacciarle il petto.
Lo sguardo del barbagianni non è aggressivo… è *triste*.
Una tristezza talmente vasta e greve da impregnare l’aria.
La sua voce — più che parlare — sembra *trascinare* la speranza verso il basso.
**«Cosa fai… in questo posto sperduto…?»**
Le parole gli escono lente, come gocce di pioggia che cadono da un cielo troppo pesante.
Nadèje sente le spalle afflosciarsi.
Le ali le si trascinano dietro, mollicce.
Le gambe tremano per la stanchezza e, improvvisamente, per una malinconia che non le appartiene.
È come se la sola presenza del rapace aspirasse la sua vitalità.
Ma almeno…
Almeno **non sembra intenzionato a mangiarla**.
La lucertola ai suoi piedi è già abbastanza misera da rassicurare la fata: non sta cercando una preda fresca.
Sta solo cercando… un po’ di calore, un posto dove posare il proprio peso.
E intanto fissa Nadèje, aspettando la sua risposta.
**Nel tronco, con Lancaster**
Il grande barbagianni ripete il suo nome come fosse un ricordo pesante:
**«Io… mi chiamo Lancaster.»**
Una pausa lunga.
Quasi soffocante.
Poi, con un filo di orgoglio consumato:
**«Sai che ero la notte, un tempo?
Io e i miei fratelli della Loggia dei Rapaci… eravamo il terrore del Giardino.
Cacciatori.
Guardiani.
Ombre con artigli mortali.»**
Si interrompe.
L’ala che penzola tocca il pavimento dell’incavo con uno sfregamento triste e secco.
**«Finché una sera…»**
La frase resta sospesa, come un ramo spezzato.
La voce di Lancaster si incupisce ancora di più, e Nadèje sente un formicolio gelido stringerle le tempie, come se l’aria stessa diventasse più pesante — satura di malinconia liquida.
Per un istante la fata sente la voglia di accasciarsi.
Di lasciarsi scivolare contro il legno e chiudere gli occhi per sempre.
Un gufo non dovrebbe essere in grado di parlare, si dice.
Ma questo non è un gufo qualunque.
Questo è una leggenda, che, per quanto dimenticata, continua a esistere.
Nadèje deglutisce.
La gola è secca come farina di castagne.
Eppure riesce a dire:
**«Piacere… io mi chiamo Nadèje.»**
Lancaster la osserva.
Gli occhi d’ossidiana si muovono appena, un tremolio di luce.
Lei continua, con la voce che vibra di stanchezza e adrenalina:
**«Un falco mi ha afferrata.
Mi ha portata via.
E ho… ho perso le mie compagne.»**
Un fruscio lieve: Lancaster inclina di nuovo la testa.
Non con interesse, né pietà.
Con quella specie di tristezza infinita che sembra la sua unica lingua.
Quando parla, il suono è una carezza d’inverno:
**«La solitudine… è un bosco con rami più fitti di quanto sembri.
E quasi nessuno trova l’uscita.»**
Poi, dopo un silenzio che sembra non finire mai:
**«Forse… puoi riposare qui fino all’alba, Nadèje.»**
Un invito.
Un avvertimento.
E forse anche una richiesta non detta.
Lancaster non attacca.
Ma la sua tristezza è una presenza vera, quasi fisica — tanto che Nadèje deve fare uno sforzo per non cedere al torpore, per restare *presente*.
**La storia di “quella sera”**
Lancaster abbassa lentamente la testa, come se ricordare gli pesasse quanto sollevare un masso.
**«Barleduc… Il gufo delle Tane…»**
Il nome gli esce come un sospiro che ha perso la strada.
**«Curioso.
Sempre troppo curioso.
Ficcava il becco dove non doveva.
Ridevamo di lui, sai?
Dicevamo che un giorno la Terra stessa gli avrebbe morso il becco.»**
Pausa.
Un battito d’ali stanco scuote l’incavo dell’albero.
**«E quella sera… accadde davvero.»**
Nadèje trattiene il fiato.
Lancaster continua:
**«Trovo Barleduc che fruga in un buco fresco nel terreno la.
Lo avverto… “Lascia stare.”
Ma lui ride.
Ride sempre.
Dice: *‘Al massimo trovo un lombrico ciccione.’*»**
Il barbagianni chiude gli occhi per un istante, come se i ricordi lo accecassero.
**«E poi…
Il terreno esplose.
Da quel buco emerse… Moloch.»**
La parola pesa come un masso.
Il legno stesso sembra gemere.
**«La talpa gigante.
Sovrana del sottosuolo.
Unghioni più grandi dei miei.
Denti che possono frantumare le ossa.»**
La voce si incrina per la prima volta:
**«Una zampata.
Un morso.
E Barleduc… non c’era più.»**
Silenzio.
Un silenzio che inghiotte tutto.
**«Io, Marseille, Carmarthen e Buckingham… volammo via.
Per la paura.
Per l’orrore.
Ci disperdemmo nel Giardino e nel Lontano.
Dissi: *“Ci ritroveremo all’Olmo Cavo di Quattroquerce.”*
Ma nessuno venne.»**
La voce diventa un soffio:
**«Non li ho più rivisti.»**
Lancaster piega le ali stanche, quasi a proteggere un dolore antico.
**«Da allora… sopravvivo di carcasse fredde e cibo rubacchiato.
E aspetto l’alba per rifugiarmi in un nido abbandonato e affidarmi all'oblio del sonno.»**
---
**Il peso del racconto**
Nadèje sente la malinconia scivolarle addosso come acqua scura.
Le palpebre diventano pesanti.
La testa le cade di lato.
Il cuore batte lento, come se qualcuno lo avesse avvolto in cotone.
**Una stanchezza profonda, irresistibile.**
Non è veleno.
Non è magia oscura.
È la tristezza stessa di Lancaster — antica, enorme, avvolgente — che la culla come una nebbia.
La fata cerca di sollevare la testa, di dire qualcosa…
ma la voce del barbagianni è una ninna nanna.
Una ninna nanna che pesa quanto la notte.
Le palpebre si chiudono.
La mente si annebbia.
E Nadèje scivola nel sonno…
…da sola, in un albero cavo, con un predatore leggendario a pochi passi.
---
**Il sogno di Nadèje**
La prima cosa che Nadèje percepisce è la luce.
Una luce pallida, lattiginosa, che sembra provenire dall’acqua stessa.
Si trova in piedi — forse? — su una superficie lucida.
Non capisce subito se sia ghiaccio, vetro, o la pelle tesa di un tamburo celeste.
Sente l’eco di ogni suo passo come un *tintinnio*.
È sola.
O almeno… così crede.
Davanti a lei, il cielo è una distesa di velluto grigio e viola, attraversata da filamenti di nebbia che si muovono come creature lente.
E poi, da qualche parte alle sue spalle, un suono.
Uno *strisciare*.
Non minaccioso.
Non rapido.
Un movimento antico, ciclico, inevitabile.
Lei si volta.
Ed eccolo.
**Occhi di Pietra.
Il Serpente della Luna.**
Non è grande come la leggenda dice — o forse il sogno non può contenerlo.
Il suo corpo pare scolpito nel marmo bianco, con venature d’argento e un bagliore interno, come se fosse al tempo stesso creatura e statua vivente.
Le sue spire si muovono lente, senza sollevare vento.
Il suo muso è affilato, bellissimo, remoto.
Ma gli occhi…
Gli occhi sono pozze profonde, specchi lunari che riflettono tutto ciò che lei è stata e sarà.
Quando parla, non muove la bocca.
La voce arriva come un’onda di marea, direttamente nella mente della fata.
Lei spalanca gli occhi.
Non ricorda di averlo mai incontrato, ma il serpente la guarda come se conoscesse ogni suo segreto.
Gli risponde con un filo di voce:
**«Mi hai… già vista?»**
**«Nel sangue che porti.
Nel destino che cerchi.
Nel coraggio che ti spinge.»**
Le sue spire si avvolgono più strette, come un’eclissi che si chiude.
**«Tu che cerchi risposte.
Tu che temi l’amore.
Tu che fingi d’essere lieve come un petalo,
ma combatti come una faina affamata.»**
Nadèje rabbrividisce.
**«Io… io non temo l’amore.»**
Il serpente inclina la testa.
Un gesto lento, infinito.
**«Allora perché temi la ferita che porta con sé?»**
La fata fa un passo indietro.
Ma il pavimento è acqua.
E sotto vede riflesso un volto — non il suo.
**Carlotta.**
Carlotta che canta e ride e la guarda con quella dolcezza che la disarma.
Nadèje tende una mano, istintivamente.
Il riflesso sfuma.
E al suo posto appare **una sciarpa da duello tagliata**, che scende nell’acqua come un ricordo perduto, accompagnata da un frullo d'ali di fata in lontananza.
Il serpente parla ancora:
**«Per trovare ciò che cerchi, dovrai perdere ciò che temi di perdere.»**
Un gelo le corre sulla schiena.
**«Cosa significa?»**
Occhi di Pietra non risponde subito.
Le sue pupille si restringono, come due lune rosse che diventano falci.
**«Quando verrà la prima luna piena d’Autunno… vieni da me.»**
Poi la voce si attenua:
**«Dove il cielo tocca l’acqua.
Dove tu hai messo piede.
E dove ancora non osi guardare. Là sceglierai per cosa vale la pena di combattere»**
Le spire si dissolvono, come nebbia o petali trasportati dal vento.
Il mondo si capovolge.
La superficie sotto di lei si spezza in mille lamine scintillanti.
Il sogno cade.
E Nadèje con lui.
---
**Il risveglio di Nadèje**
Nadèje si sveglia lentamente, come se la sua mente stesse risalendo da un pozzo profondo.
Il sogno di Occhi di Pietra si dissolve piano, lasciando dietro di sé solo un retrogusto d’argento e un battito accelerato nel petto.
È buio.
Un buio vero, naturale, punteggiato solo da filamenti azzurri di muffa luminescente sul legno.
E il primo suono che sente non è quello della foresta.
È un respiro.
Lento.
Profondo.
Immenso.
Lancaster è ancora lì.
È rannicchiato in un angolo dell’incavo, con le ali raccolte e la testa infilata nel piumaggio del petto come fanno gli uccelli addormentati.
La piccola lucertola, ormai dimenticata, giace a pochi centimetri dal suo artiglio.
Nadèje rimane immobile.
Respira piano — molto piano — temendo che ogni movimento possa irritarlo o peggiorare il suo umore già fragile.
Poi, senza preavviso, gli occhi scuri del barbagianni si aprono.
Non con un guizzo predatorio.
Con una lentezza infinita, come due lune che risalgono da dietro una montagna.
Il suo sguardo la attraversa senza aggredirla.
**«Hai sognato.»**
La voce è roca, appena un soffio.
Nadèje deglutisce.
**«Sì… credo di sì.»**
Lancaster socchiude le palpebre, un gesto che potrebbe essere stanchezza o un briciolo di comprensione.
**«I sogni… sono l’unica cosa che i predatori dell’ombra non possono strapparci.»**
Poi, senza aggiungere altro, inizia a stirare lentamente le ali.
Ogni movimento è un lamento del legno, un fruscio di penne logore.
La sua silhouette riempie l’incavo come una statua che prende vita.
Per un attimo la osserva ancora, inclinando la testa come quando l’ha trovata.
C’è un’ombra di riconoscimento.
Come se la sua presenza — piccola, luminosa, viva — gli avesse ricordato per un istante com’era avere uno scopo.
Poi dice, con la voce che sembra provenire dal fondo della notte stessa:
**«Va’, fata.
Le tue compagne ti cercano.
E il sole non aspetta nessuno.»**
Si volta verso l’apertura dell’albero.
Un secondo di immobilità.
Un respiro.
E poi **spicca il volo**.
Non è l’ombra possente di un tempo: le ali si aprono con fatica, e il suono che fanno non è un tuono ma un sospiro.
Eppure, quando esce dalla cavità, il suo corpo sembra recuperare per un istante la grazia perduta.
Il grande barbagianni scompare tra gli ultimi veli di notte, inghiottito dalle fronde.
Nadèje resta a guardare il punto dove è svanito.
L’aria nel tronco è più leggera ora, meno intrisa di malinconia.
Nadèje indugia ancora seduta dentro l'incavo dell'albero. Non si sente molto riposata dopo il suo sonno inquieto, e cerca di recuperare il più possibile le forze. Respira profondamente per ritrovare la calma e controllare la preoccupazione per Carlotta e le sue amiche, come le è stato insegnato all'accademia di scherma Mont Guignol. Poi, come se il mondo rispondesse al suo respiro, una traccia di luce rosa appare tra i rami: l’alba sta arrivando.
La Fata attende il sorgere del sole e vola fuori, dissetandosi con la rugiada fredda accumulata sulle foglie, e si mette in cerca delle altre ragazze.
È tempo di ritrovare le sue compagne.
---
**Le ragazze si ritrovano**
La pioggerella cade fine, quasi una nebbia umida, mentre Nadèje avanza tra i tronchi del Lontano. Ogni tanto sente il fruscio di una foglia, il richiamo solitario di un rospo, il friccicare dell’autunno alle porte.
È bagnata, stanca, ancora un po’ scossa dall'incontro con Lancaster, dal sogno e soprattutto dalle bestie che hanno cercato di mangiarla.
Poi, tra gli alberi, una voce.
**«NADÈJE!»**
È Gwen.
Un grido stridulo, spezzato, pieno di sollievo e ansia mescolati.
Subito dopo, una figura più scura corre tra le foglie bagnate e la pioggerella.
Carlotta.
Lei non corre: si lancia.
È quasi una carica.
Un salto.
Un’esplosione di sollievo.
Le braccia le si chiudono addosso con una forza che Nadèje non ha mai sentito in lei. L’abbraccio le toglie il fiato, tanto è stretto e tremante.
**«Sei viva… sei viva… Nadèje, sei viva…»**
La voce di Carlotta è bassa, spezzata.
Singhiozza senza nemmeno accorgersene.
Nadèje, sorpresa dalla forza dell’emozione, ricambia l’abbraccio, infilando il volto tra i capelli bagnati di Carlotta.
**«Certo che sono viva, stella mia…»**
sussurra piano, cercando di trasmetterle calore.
Le loro bocche si trovano in modo prima frenetico, poi dolce e appassionato.
Poi arrivano Gwen e Naoko, affannate, i capelli puntellati di pioggia. L'abbraccio di Carlotta e Nadèje si scioglie.
Gwen si ferma davanti a loro, si piega in avanti, le mani sulle ginocchia, e poi…
**le dà un pugno sul braccio.**
« Non sai quanto mi hai fatto spaventare!»
E subito dopo
«…ti voglio bene, però.»
Naoko invece è più composta, ma gli occhi umidi la tradiscono.
«Pensavo che… che fosse finita male.»
Poi, un piccolo sorriso:
«Ma le duellanti come te ridono sempre in faccia al destino.»
Carlotta fa un passo indietro , giusto per guardarla meglio.
Passa le dita sulle sue guance, sulla spalla, sulle ali come per verificare che sia davvero intatta.
«Promettimi che non… non volerai più via da me così.»
È una richiesta assurda, infantile, disperata.
Nadèje sorride piano.
«Prometto che non lo farò *volontariamente*.»
Gwen sbuffa.
«E comunque, la prossima volta porto io il repellente per falchi. Non so se esista, ma lo invento.»
Le quattro si ritrovano così, strette l’una all’altra sotto una pioggerella sempre più fitta, il bosco silenzioso intorno a loro.
Per un attimo sembrano tornate ragazzine, che si stringono in un abbraccio di sorellanza, nelle notti invernali davanti al camino.
Ma sono cresciute.
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# **La tinozza del villaggetto**
La stanza da bagno del piccolo villaggio è semplice:
pareti di legno chiaro, finestrelle di carta, il profumo dolce dell’acqua riscaldata con foglie di prugnolo.
Fuori si sente la risacca del lago, lontana, calma.
La tinozza è appena sufficiente per due ragazze innamorate che vogliono stare molto vicine.
Nadèje si immerge per prima, lasciando andare un sospiro che è quasi un lamento.
Carlotta la segue, sedendosi alle sue spalle e facendola scivolare contro il suo petto, in un abbraccio che l’acqua calda rende più morbido.
La Sluagh le accarezza piano le spalle, massaggiandole i muscoli e sfiorando senza imbarazzo — ma con rispetto — le sue cicatrici.
«Sei così tesa…» mormora. «Pensavo di averti vista stanca, ma così… mai.»
Nadèje chiude gli occhi.
L’acqua calda la avvolge.
Le mani di Carlotta e il suo corpo accogliente la rassicurano più di tutto il resto.
Poi, a voce bassa:
**«Ho sognato il Serpente della Luna.»**
Carlotta smette di accarezzarla per un istante, come se le parole si fossero posate sull’acqua con un peso maggiore.
«L'idolo-serpente? Quello di cui parlano i testi di Lale?»
«Sì.»
Nadèje inspira piano.
«Era… troppo reale per essere solo un sogno. La sua voce… sembrava dentro la mia testa.»
Carlotta le appoggia la guancia sui capelli bagnati, incoraggiandola a continuare.
Nadèje riprende, più piano:
**«Mi ha detto che temo l’amore.»**
Silenzio.
Solo lo sciabordio dell’acqua che si muove.
«Ha detto che temo la ferita che l’amore porta sempre con sé.
Ha detto che… per ottenere ciò che voglio, devo perdere ciò che amo di più.»
Carlotta irrigidisce appena le braccia attorno a lei.
Nadèje si volta, per quanto può nella tinozza, e le prende il viso tra le mani bagnate.
Le loro fronti si sfiorano.
**«Ciò che amo più di tutto sei tu.»**
La voce le trema, appena.
Non di paura, ma di verità.
«E io… io non voglio perderti. Mai.»
Carlotta rimane un momento immobile.
Le iridi brune sembrano più scure nella luce della stanza.
Poi appoggia entrambe le mani sulle guance della fata, con una dolcezza che smorza ogni tremito.
«Nadèje…»
La sua voce è un bisbiglio profondo.
«Se un Idolo vuole portarmi via da te… dovrà passare sul mio cadavere. E sul tuo, perché tu non glielo permetteresti.»
Le sorride.
Quello stesso sorriso che Nadèje ha visto anche nel gelo del Canneto, anche davanti ai rospi giganti, anche nel cuore della notte quando condividevano un futon.
Un sorriso che dice “io ci sono”, sempre.
Poi, più lieve:
«E comunque… se un essere leggendario vuole giocare a fare il profeta tragico, può anche andare a prendersi una bella boccata d’aria.»
Nadèje ride, un po’ tremando, un po’ sciogliendosi.
Carlotta la stringe di nuovo contro il petto.
«Io non sono facile da perdere» mormora, mentre le passa le dita tra i capelli bagnati. «E tu non sei capace di smettere di amarmi. Quindi quel serpente si sbaglia.»
Nadèje chiude gli occhi mentre le labbra di Carlotta le sfiorano la tempia e si abbandona contro la morbidezza della sua amata.
E per la prima volta da quando il falco l’ha portata via, Nadèje si sente davvero al sicuro.
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**Le reazioni di Gwen e Naoko al villaggetto**
Mentre Nadèje e Carlotta sono immerse nella tinozza, Gwen e Naoko esplorano il piccolo villaggetto, approfittando finalmente di un po’ di pace.
Il posto è minuscolo: non più di una ventina di case, tutte basse, col tetto coperto di fiori secchi e stuoie intrecciate. L’aria profuma di gramigna al vapore e di erba appena tagliata.
**Gwen**
Gwen, appena entrata, era stranamente agitata.
La padrona dell’osteria — una Shinigami minuta dai capelli color lavanda — aveva sorriso alle ragazze e offerto tè di malva senza chiedere nulla in cambio.
Gwen era rimasta immobile, sorpresa da tanta gentilezza.
Poi aveva mormorato in Domestico:
**«…Non ricordavo un posto che sembrasse *così casa*, fuori dalla Casa.»**
Naoko l’aveva guardata con tenerezza, intuendo qualcosa del passato dell’amica.
Più tardi, seduta sulla veranda di una casetta, Gwen si mette a scrivere nel diario — il diario salvato dai dardi nel santuario — con il suo solito tratto un po’ inclinato .
Accarezza il bordo della borsa, dove sono ancora attaccati due funghi secchi dell’incidente con Le Primule.
Poi mormora:
«Forse… magari un giorno potrei vivere in un posto come questo. Senza che nessuno mi guardi storto. Senza… dover essere forte per forza.»
Naoko, che la ascolta, si siede accanto a lei.
Naoko
La giovane botanica Shinigami è stretta dalla nostalgia.
È vicino a casa.
A pochissimo.
Le case qui assomigliano a quelle della sua infanzia:
le stesse pareti di carta, gli stessi campanellini alle finestre, la stessa abitudine di lasciare fuori le ciotole per gli spiriti della notte.
Cammina lentamente, guardando ogni cosa come se temesse di spezzarla con lo sguardo.
«È strano» confessa a Gwen. «Mi sembra di essere tornata bambina… e allo stesso tempo sento che non appartengo più del tutto a questo posto.»
Gwen sospira, con un sorriso malinconico:
«Benvenuta nel club.»
Naoko ride piano.
Un suono gentile, raro per lei.
Poi guarda Gwen, e senza esitare:
«Le tue amiche… ti vogliono molto bene, sai?
E tu sei stata coraggiosa, ieri. Non solo a guidarci nel Lontano. Anche oggi, a entrare in questo villaggetto con la testa alta.»
Gwen arrossisce e si gratta la nuca, imbarazzata.
«Bè… sì, insomma. Credo che un po’ di coraggio… stia venendo fuori.»
Naoko annuisce:
«Sì. E ti si addice.»
Silenzio.
Un silenzio naturale, morbido. Senza imbarazzo, semplicemente per il momento non c'è più bisogno di dire niente.
Poi un piccolo temporale di petali secchi scende da un balcone sopra di loro — una coppia di bambini Shinigami li ha scrollati per gioco.
Gwen sbuffa ridendo, togliendosi pezzi di petali dalla frangia:
«Ecco, vedi Naoko? Questo è proprio il mio destino. Essere inseguita da fiori, funghi e vespe. E mai una volta da una ragazza carina…»
Naoko la guarda di lato.
Le guance rosate.
Il sorriso timido.
«Non ne sarei così sicura.»
Gwen la guarda.
E resta senza parole.
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